In volo su «Gomorra»
con la realtà virtuale

In volo su «Gomorra» con la realtà virtuale
di Titta Fiore
Mercoledì 30 Agosto 2017, 09:03 - Ultimo agg. 13:56
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La prima novità della Mostra del cinema che si inaugura stasera al Lido tra straordinarie misure di sicurezza, in sala il presidente Mattarella e mezzo governo, è l'apertura al virtuale. Una vera e propria sezione con 22 titoli in gara, una giuria guidata da John Landis e un palmarès adeguato alla VR (sta per Virtual Reality, la tecnologia che tanto ha scandalizzato i «puristi» di Cannes). E, novità nella novità, saranno le immagini della terza serie di «Gomorra» a rappresentare in questo minifestival indipendente organizzato sull'isola disabitata del Lazzaretto Vecchio il cinema italiano, in un mix di linguaggi narrativi che si prepara ad accantonare definitivamente le barriere di genere.
 


Con la complicità di un casco ipertecnologico, di occhiali 3D e di una poltroncina girevole «Gomorra VR - We Own the Streets» porta lo spettatore ad immergersi nelle location più simboliche della serie, a planare dopo una panoramica mozzafiato sulle Vele di Scampia o a piombare, come un incauto convitato di pietra, nel cuore di un inseguimento armi in pugno tra bande rivali. La sensazione è davvero quella di camminare dentro la scena in cui si muovono le famiglie camorristiche di Genny Savastano e di Ciro Di Marzio l'Immortale, ex amici riuniti dopo la morte di don Pietro in un nuovo e più terribile cartello criminale. Sono proprio loro, Ciro-Marco D'Amore, Genny-Salvatore Esposito, Malammore-Fabio De Caro a fare da guida, a traghettare il pubblico dalla seconda alla terza serie, in onda a novembre su Sky Atlantic HD e già venduta in centonovanta Paesi. «Stamm' turnann'», dicono con voce minacciosa nel trailer appena diffuso, promettendo chissà quali nefandezze ai fan mai sazi di questa tragedia shakespeariana nata all'ombra del Vesuvio e arrivata, omicidio dopo omicidio, a invadere il centro storico di Napoli e a scalare gli ambienti della buona borghesia cittadina.

Naturalmente, rispetto alla vera e propria serie, «We Own the Streets» gode di autonomia ideativa e produttiva (al lavoro c'era un team specializzato di Sky VR inglese guidato dall'executive producer Neil Graham, alla regia Enrico Rosati, un veterano della lunga serialità Sky). Aspettando le nuove puntate, dopo l'anteprima veneziana le immagini in Virtual Reality saranno disponibili in un'apposita app. Quanto al cinema napoletano, questa lussuosa anticipazione in 3D rappresenta solo un assaggio della ricca proposta di titoli, storie, generi presenti in ogni sezione della Mostra: una decina di film che si preparano a invadere il Lido con straordinaria vitalità e varietà di temi e di toni.

La seconda novità dell'edizione numero 74 riguarda, appunto, gli italiani. Da tempo trascurato, misconosciuto, mortificato da produzioni asfittiche e di corto respiro, quest'anno almeno sulla carta il nostro cinema si prende la rivincita: quattro film in concorso (non accadeva dal 2010, penultima Mostra dell'era Muller) e un numero imprecisato di storie disseminate in ogni angolo del cartellone, tra lunghi, medi e cortometraggi. Il direttore Alberto Barbera fa mea culpa: «Mi sono spesso lamentato delle troppe produzioni italiane, perché un eccesso di quantità limitava la qualità» ha detto illustrando il concorso. «Questa volta, invece, ci siamo trovati di fronte a un'offerta interessante e a tanti giovani autori capaci di uscire dai soliti schemi e di confrontarsi senza timori reverenziali con i team internazionali». Lasciandosi alle spalle neo-neorealismo e commedia, insomma, i registi in gara hanno avuto il merito (il risultato lo vedremo in sala) di sperimentare linguaggi diversi: Virzì, il più titolato, si è messo «on the road» con due mostri sacri come Helen Mirren e Donald Sutherland per raccontare un'America a misura di terza età in «The Leisure Seeker»; i fratelli Antonio e Marco Manetti rilanciano la fortunata formula del «crime-musicarello» già sperimentata per «Song' e Napule» con «Ammore e malavita», tra i film più attesi dell'intero programma; Andrea Pallaoro punta le sue carte su Charlotte Rampling in «Hannah», ritratto a tutto tondo di una donna matura intrappolata nelle proprie difficili scelte di vita; e Sebastiano Riso affronta in «Una famiglia» il dramma di una madre (Micaela Ramazzotti) costretta dal marito a caccia di soldi a vendere il proprio utero. Sul tappeto solitudine, amarezza, senilità e la folle allegria della Napoli neomelodica: basterà per voltare finalmente pagina?


La terza novità del festival riguarda Alessandro Borghi, attore tra i più significativi della nuova generazione («Non essere cattivo», «Romanzo criminale», «Suburra»): specializzato in ruoli da duro, al Lido farà il valletto, il padrino delle serate d'apertura e di chiusura, e l'idea lo diverte moltissimo: «Mettiamola così, sarò un gran cerimoniere. So che è una bella occasione, ma so anche di aver fatto cose più complicate, mi sento rilassato». Tra gli impegni belli e importanti della stagione mette le riprese appena finite di «Napoli velata», il film di Ferzan Ozpetek girato tra l'oro e la polvere di una città sacra e pagana al tempo stesso, un thriller agitato da una potente storia d'amore in cui si affianca a Giovanna Mezzogiorno («incontro professionale che non dimentichi»); e «Il primo Re» di Matteo Rovere, progetto ambizioso sulla fondazione di Roma: «Un set primordiale, complicato, su cui stiamo lavorando con passione, sarà il nostro Trono di spade».

Non sono una novità, invece, George Clooney e Matt Damon, i Leoni d'oro alla carriera Jane Fonda e Robert Redford, Javier Bardem e Penelope Cruz, Helen Mirren e Judi Dench, Michael Caine e Donald Sutherland, Charlotte Rampling e Isabelle Huppert, Jennifer Lawrence e Julianne Moore, Susan Sarandon e Gérard Depardieu. Nonostante i metal detector, i poliziotti e i controlli incrociati, per il red carpet è un anno d'oro. Le star hanno confermato in massa, al Lido rimesso a nuovo (ovvero riportato all'antica purezza delle linee architettoniche) non c'è più un buco libero, e soprattutto gli americani, da quando i film di Venezia hanno cominciato a vincere Oscar, non rinuncerebbero alla Mostra per nulla al mondo.