Da Made In Sud alla mostra al Castel dell'Ovo, alla scoperta di Bruno

Da Made In Sud alla mostra al Castel dell'Ovo, alla scoperta di Bruno
di Francesca Cicatelli
Domenica 3 Luglio 2016, 21:30 - Ultimo agg. 21:50
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Forse sbarca in America «ma prima devono sedarmi». Mariano Bruno in nome dell'arte sta rivoluzionando la sua vita. Ma è stato un autogrill a cambiargliela. Lì per caso gli è capitato di incontrare Seneca e la sua «idea di tempo». Da allora non si è più fermato, guai a girare i pollici, guai a stare fermi o a trastullarsi in modo incocludente.    
Disarmante, umano, tenero, artista. C'era da aspettarsi simpatico ma ci saremmo persi tutto il resto. Perché Bruno è di quelli che affilano i pennelli alle 5 del mattino.

Vulgata vuole che dietro ogni grande comico ci sia the dark side of the moon e qualche decimo di amarezza che ogni tanto scalda la fronte e dà pruriti al tempo. Non l'accoramento da chitarra scordata, pierrot dalle lacrime in sospensione, marionette senza fili o l'amarezza da indignato civico, come capita ai comici che si prestano a monologhi da sentinelle democratiche. Il lato oscuro di Mariano Bruno non è corazza dell'ilarità piuttosto una gran voglia di vivere e dar fretta agli anni. Attivarsi e dispiegarsi il più possibile. L'esperienza gli ha insegnato a «estrarre il meglio da se stesso senza badare a comparazioni con gli altri».

Spogliato per qualche giorno delle vesti di Made in Sud, ha dato sfogo al rovescio di sé nella bipersonale “Dalla testa ai piedi” organizzata con la pittrice Rosanna Avenia (lui si è occupato di «disegnare le parti inferiori del corpo» puntualizza e lei quelle superiori) a Castel dell'Ovo con cui ha stupito tutti. Ridi pagliaccio avrebbe detto Ruggero Leoncavallo sebbene Bruno potrebbe essere accusato più di feticismo che di malinconia, anche se ci tiene a precisare che la venerazione per le gambe è solo «esaltazione di una parte del corpo che ci induce al moto, ci spinge in avanti».

Lui che alla comicità ci è arrivato dopo aver allevato uccelli, preso parte a concorsi di pesca, venduto e creato persino una linea alimentare per pesci, praticato ogni forma di associazionismo, aver riparato motori, consegnato cornetti, animato serate, partecipato a concorsi di cabaret, un giorno resta folgorato da Seneca«per fortuna si trattava - ironizza - di un libricino di 20 pagine» che gli ha infuso coscienza della percezione dello spreco del tempo. D'altronde il suo soprannome è proprio botia da Betta Splendens, un pesce combattente che vince sul tempo, sopravvive in condizioni estreme, si adatta sempre e «soprattutto combatte i maschi ed è a suo agio anche in un acquario con cinque donne», fa sapere con il sorriso.

Un romantico del tocco artigianale che due anni fa si avvicina alla pittura. «Nella periferia orientale del napoletano le botteghe organizzano laboratori e decisi di prenderne parte». Disegna scarpe ma giura di non averle «mai fatte a qualcuno» anche perché «di solito nessuno porta il mio numero». Scopriamo così opere che affrontano temi come la competizione di coppia, la velocità, l'essere nell'estetica, la cattura di se stessi, il soccombere all'apparenza.

Ricorre il nero da cui affiorano i soggetti delle tele carichi di colori saturi. Viene da chiedersi perché mettere in condivisione un sentire così personale. Ma lo spazio è limitato e ben 100 quadri non sapeva «più dove stiparli». La mostra rientra in un progetto itinerante che toccherà anche Roma e Milano e forse l'America, in un fil rouge in nome dell'arte e delle scarpe. Una vera ossessione «che dice tutto di noi. Devo concentrarmi anche per comprarle è un momento importante ma - giura - non sono feticista».  

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