La faccia che si gonfia e la pipì che allaga la tuta: quello che gli astronauti non dicono

La faccia che si gonfia e la pipì che allaga la tuta: quello che gli astronauti non dicono
di Anna Guaita
Giovedì 19 Maggio 2016, 22:15 - Ultimo agg. 20 Maggio, 10:23
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NEW YORK – Chi ha visto il film “The Right Stuff”, che raccontava la formazione dei piloti per il programma spaziale Usa, ricorderà i test spesso umilianti a cui i futuri astronauti venivano sottoposti. Allora non si sapeva nulla di come il corpo avrebbe reagito in assenza di gravità: si temeva ad esempio che gli occhi potessero galleggiare in testa, o che gli astronauti non avrebbero avuto la forza di ingoiare il cibo, rischiando di morire di fame.

Il tempo ha poi dimostrato che alcune di quelle paure non erano del tutto infondate: il volto effettivamente si gonfia perché il sangue affluisce alla testa, il vomito ti torna in faccia come uno schiaffo, la pipì può allagare la tuta spaziale, ruttare è impossibile senza buttare fuori anche tutto quello che si ha nello stomaco, la sinusite è frequente e ti tappa il naso mentre le papille gustative non assaporano più nulla. Sono noie a cui gli astronauti sono addestrati e a cui sono ora preparati. E tuttavia la Nasa evita di parlare di questi aspetti meno eleganti della vita nello spazio. I circa 550 astronauti oggi viventi sulla terra vengono visti come individui autorevoli, coraggiosi, espressione del dantesco istinto umano di “seguir virtute e canoscenza”. Solo in privato, gli uomini e le donne che hanno vissuto nello spazio sono disposti a raccontare gli incidenti, i momenti imbarazzanti, le piccole ignominie che bisogna subire quando si vive in assenza di gravità. Alcune di queste testimonianze sono state raccolte in “What’s it like in Space”,  un agile libretto di Ariel Waldman,  ex direttrice della Commissione sull’esplorazione spaziale presso la National Academy of Sciences.

Per l’appunto, l’interesse scientifico per queste “piccolezze” sta vivendo un nuovo slancio, visto che si parla con insistenza di un viaggio umano su Marte. In questi stessi giorni ad esempio, il Kings College di Londra ha appena finito uno studio sui rischi che un lungo viaggio spaziale avrebbe sulle mestruazioni delle astronaute: le donne che vanno sulla stazione spaziale o che hanno volato sullo shuttle, hanno finora in gran parte scelto di assumere la pillola. Ma le oltre 50 astronaute che hanno lasciato la terra finora, lo hanno fatto per periodi al massimo di qualche mese, mentre il viaggio su Marte richiederebbe tre anni, ed è stato calcolato che ogni astronauta si dovrebbe portare oltre 1100 pillole, abbastanza da diventare un elemento ingombrante nel carico già complesso per un viaggio così lungo.

E a parte le mestruazioni, tutti dovrebbero tollerare per periodi ben più lunghi gli stessi fenomeni irritanti che già ora sono così noiosi. L’impossibilità di ruttare, ad esempio. Parrebbe una banalità, ma può causare disturbi, tanto che un astronauta ha scoperto che se si dà una forte spinta contro la paratia della stazione, crea una finta gravità, sufficiente per potergli permettere di spingere il gas intrappolato nello stomaco fino alla bocca e liberarsene senza rimettere anche tutto il cibo semidigerito. E che dire delle sinusiti, così frequenti nella stazione spaziale, curate soprattutto con grandi quantità di zenzero, che però sarebbe difficile portarsi fino a Marte. Alri piccoli incidenti sono oramai stati superati: la pipì che allagava le tute – si è scoperto fra la generale ilarità - era colpa degli astronauti stessi: ogni volta che dovevano scegliere il profilattico che avrebbe incanalato il liquido verso la borsa sigillata, chiedevano misura “large”, evidentemente non indicata per tutti...

La faccia che si gonfia è anche un inconveniente che dura solo tre o quattro giorni, il tempo perché il corpo si abitui all’assenza di gravità e riesca a ridistribuire correttamente di nuovo il sangue in tutto il corpo. I mal di testa di cui sembravano soffrire tutti all’inizio erano dovuti all’improvvisa assenza di caffeina. E tutti hanno oramai imparato che quando sentono conati di vomito, e afferrano la busta apposita, devono anche acchiappare un asciugamano da mettersi davanti alla faccia, per evitare che il rigurgito, rimbalzando, non gli si spalmi su tutto il viso.

Com’è la vita nello spazio, dunque? Gli astronauti che hanno parlato alla signora Waldman sono d’accordo nel descrivere la profonda gioia davanti all’immensa bellezza della Terra, così come l’impressionante senso di gelo e solitudine nel guardare la vastità buia e sconfinata quando si guarda dall’altra parte, verso il resto dell’universo. Tutti riconoscono che la vita nella stazione spaziale è interessante, ma anche scomoda: la difficoltà di dormire in assenza di gravità è per alcuni l’ostacolo maggiore, ma ci sono stati astronauti che si lasciano galleggiare e vanno dolcemente rimbalzando di qua e di là, senza perdere un minuto di sonno. La stranezza di vedersi le braccia galleggiare davanti spinge tutti a tenersele ancorate sotto le ascelle, o a sedercisi sopra, o a chiuderle dentro il sacco a pelo durante il sonno.

E poi c’è la necessità di essere precisissimi: le tute hanno tasche con cerniera, in modo da non lasciare nulla che galleggi nel vuoto. E tuttavia succede spesso, tant’è che c’è un sistema di lieve risucchio, che sulla stazione viene soprannominato “Oggetti Smarriti”: tutto quel che viene dimenticato a galleggiare, non va a intasare tubi o condotte, ma viene risucchiato da una ventola e lì ci si ritrovano gli oggetti più disparati, il burro di cacao, gli auricolari dell’iPod, l’elastico della coda di cavallo.

Una volta la Nasa non era così tollerante: nel 1963 l’astronauta John Young si portò a bordo della Gemini 3 un panino al roast beef da dividere con il compagno Gus Grissom. Un gesto vietatissimo poiché gli astronauti dovevano mangiare solo piccoli cubi di proteine ricoperti di gelatina, per evitare briciole in caduta libera e il rischio di danni irreparabili. E difatti, non appena Young e Grissom si divisero il panino, l’abitacolo si riempì di briciole, e i due si presero una bella lavata di capo. Ma la loro missione era solo di 4 ore, e non successe nulla di terribile. Tuttavia, la Nasa non è ancora riuscita a rendere appetibili i pasti degli astronauti, tant’è che tutti ammettono di preferire i gamberi disidratati, l’unico piatto che conserva un certo sapore. Ricoperti di zenzero, possibilmente, in modo da dare una bella scossa alle papille gustative.
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