«Palermo, sui social una terribile sfida a farsi tagli sul corpo» (La Repubblica.it , 17 giugno 2023, ore 7)
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Da Casal Palocco a Palermo il passo è breve, brevissimo. Siamo ancora tutti annichiliti dalla conseguenza mortale della sfida social a Roma, la chiamano “challenge”: trascorrere 50 ore in giro su una potente Lamborghini, un gesto sconsiderato, che ha portato alla morte tremendamente vera, verissima, di un bimbo di appena cinque anni. Il piccolo Manuel con mamma e sorellina tornava a casa dall'asilo in quel momento lì, su quella strada lì, su un'auto piccola piccola proprio mentre sfrecciava la Lamborghini blu con il suo carico umano di giovanissimi impegnati a realizzare video da postare sui social, in un crescendo di eccitazione e confusione. Casal Palocco, cinque giovani coinvolti in un gioco folle: sfidarsi per il pubblico vorace della Rete, ore e ore in un'auto di lusso (come è possibile dare in uso una vettura del genere a dei ragazzetti?) a sfrecciare come matti per le strade di Roma, il tutto per incassare like sui social che si tramutano in soldi sui conti correnti della giovane società "The Borderline". Una vita vissuta e costruita, in alcuni casi con consapevolezza delle famiglie, su questo: il coinvolgimento della Rete.
A Palermo, in Sicilia, l'invito via social è invece a tagliarsi, sì a compiere atti di autolesionismo provocandosi tagli sulle braccia e sulle gambe, aggregandosi e riconoscendosi attorno ad un leader che lancia la sfida: finisce che ora indaga la Procura per “istigazione al suicidio”, coinvolte decine di ragazzine tra i 12 e i 14 anni anni che si sono prodotte profondi tagli e ferite sulla pelle, «perché questa era la challenge», questa era la prova. E' accaduto altre volte, con epiloghi tragici: ragazzini precipitati nel vuoto dopo l'invito a volare, impiccatisi ad una corda nella gara a vedere quanto resistono senza respirare. E a Palermo, se il tutto non fosse stato scoperto, chissà dove saremmo arrivati, in questo dolore (vero) inferto autonomamente per nascondere evidentemente un dolore, un disagio e una solitudine giovanile interiori di cui diventano custodi le sole memorie dei cellulari.
Rabbrividite, rabbrividiamo? Sì, è così. E' inevitabile. Ma inutile indignarsi e basta se non ci si rende conto che l'emergenza è qui, nel nostro Paese come nel mondo, nelle nostre case, nelle nostre famiglie. E va affrontata. La Generazione Z, ovvero i nati dagli anni 1995 al 2010 e oltre, vive per lo più incollata sui social, con un'immedesimazione che in moltissimi casi porta al completo distacco (se mai ci fosse stato contatto) con la realtà.
Che fare? Proibire e basta non porterebbe a nulla, la Rete (e anche i social) non sono da vietare (e non sono neanche sopprimibili, per carità). E' la generazione dei "grandi" a doversi far carico della consapevolezza del capire, comprendere e veicolare il messaggio positivo dell'utilizzo dei social media. Il distacco dallo schermo, seppur graduale, non fa male: porta a scoprire cose belle e amare, perchè la vita è questo, un continuo alternarsi di sentimenti e stati, condizioni e prospettive. E' la vita reale che i ragazzi cresciuti a cellulare e social non conoscono, senza essere in grado di distinguere i due piani, adusi solo al consenso del like e drammaticamente impreparati alla durezza del dissenso o del disagio della vita reale.
Prima facciamo è meglio è. Prima assumiamo la consapevolezza che tocca educare ai vari livelli, dalla famiglia alla scuola fino alle altre agenzie educative e di controllo, e prima ci mettiamo, con autorevolezza, dalla parte giusta. Che è quella di non stare contro i ragazzi, ma piuttosto accanto a loro. Per insegnare che la vita è, sarà sempre, un'altra cosa. Non una challenge per qualche like in più.
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«Deesi avere in mente che i libri, ottimi consiglieri morti, non occultano giammai la verità, dacchè i consiglieri vivi cadono spesso nell'adulazione; sarà percciò molto vantaggioso leggere i libri» (Bacone, Sermone del Consiglio)