Chiara, il tumore e la sua incredibile storia: torna il cancro e i medici le danno 9 mesi di vita. Ma lei dopo 4 anni si laurea

Padova, la 50enne di ce: «Non bisogna rimandare ma vivere. Io proprio in questo tempo difficile ho realizzato me stessa

Chiara e la sua incredibile storia: torna il tumore e i medici le danno 9 mesi di vita. Ma lei dopo 4 anni si laurea
​Chiara e la sua incredibile storia: torna il tumore e i medici le danno 9 mesi di vita. Ma lei dopo 4 anni si laurea
di Elena Filini
Giovedì 16 Maggio 2024, 09:20 - Ultimo agg. 09:22
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PADOVA -  Nove mesi di vita sono come una clessidra girata. Puoi fissarla con angoscia e aspettare che si esaurisca. Oppure decidere che quei nove mesi saranno i tuoi cento anni. Il tempo non è uno solo, e c'è un tempo nella vita in cui si può scegliere di fare tutto ciò per cui si è aspettato. Per Chiara l'idea di futuro cambia improvvisamente una mattina del 2020. Quando, dopo 13 anni, il tumore ritorna, e in forma aggressiva. Nel momento in cui viene a sapere che il suo orizzonte può essere di nove mesi, decide che non si può attendere. Bisogna dare una forma concreta a sogni che, nel suo caso, si chiamano amore, viaggi e una laurea sempre desiderata ma prima non possibile per problemi economici.

RIPROGRAMMA
Sono passati quattro anni da quel giorno, e oggi Chiara discuterà all'Università di Padova la tesi di laurea in Giurisprudenza. Incrocia le dita con giusta scaramanzia e guarda dritto negli occhi. «Se racconto la mia storia lo faccio per un solo motivo: dire ai malati oncologici come me di non permettere a nessuno di dire cosa si può e non si può fare. La vita si riprogramma, non bisogna rimandare ma vivere. Io proprio in questo tempo difficile ho realizzato me stessa».

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Nata a Mestre, 50 anni a settembre Chiara scopre la parola tumore nel 2006. Inizia un percorso di cura e guarisce. Si sposa, ha un figlio, un lavoro in Prefettura. Finché nel 2020 inizia a sentire dolore allo sterno. Si sottopone di nuovo alle analisi e la diagnosi è un colpo in pieno viso. «Era passato solo un anno dall'ultimo controllo: la malattia era tornata in una forma molto forte, metastatica». Il tempo di disperazione necessario, non siamo eroi, e Chiara inizia a mettere in fila le ore, i giorni e a pianificare il futuro. «I medici erano stati vaghi, mi avevano fatto ovviamente capire la gravità ma non avevano dato tempi di durata. Sono stata io a forzare: volevo avere la scadenza. Soprattutto perché non avrei mai accettato di andarmene lasciando situazioni di vita insolute. E così ho costretto la dottoressa». Nove mesi, che per fortuna si sono rivelati un'approssimazione per notevole difetto.
Ma Chiara si mette in moto. «All'Università mi dicono: sospendiamo la retta, studiare e curarsi è difficile, il corpo e la testa sono molto debilitati.

Avevo fatto un solo esame e mi sono detta: se non ora quando?». Per mesi si carica in spalla i tomi di diritto e studia dove può: tra una terapia e l'altra, in corsia, nei corridoi. «Durante il Covid spesso ero in ospedale sola e studiavo, cercavo di portarmi avanti. Lo dico ridendo ma neppure troppo: metà del percorso universitario è merito delle corsie dell'Ospedale dell'Angelo a Mestre».

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Non c'è solo questo: dopo la fine del suo matrimonio, Chiara aveva iniziato da pochi mesi una nuova relazione. «Lui è rimasto, c'è stato sempre. Ma io non volevo che vivesse la nostra come una storia unicamente di cura. E allora abbiamo iniziato a progettare e a realizzare. La casa, i viaggi, abbiamo fatto tutto, stiamo facendo tutto. Abbiamo desiderato vivere la nostra storia in pienezza, e ci siamo riusciti». Chiara inizia a conoscere anche il mondo delle donne malate, dalla voga al Dragon Boat in rosa fino all'associazione la Forza in passerella. «È un mondo di affetti incredibili. Ho conosciuto sorelle d'anima. Ma poi la malattia è strana, ti arriva il supporto delle persone più impensabili. Nel mio caso, anche un vecchio professore delle superiori». L'altro grande plus è stata l'umanità del personale sanitario. «All'ospedale dell'Angelo di Mestre ho avuto un'assistenza di primo livello, con cure sartoriali. Sono stata trattata come una sorella e un'amica, mai come semplice paziente».

MASTER
Oggi con la laurea si chiude un percorso, ma Chiara guarda già testardamente oltre: è iscritta al master Europa Donna Italia alla Cattolica di Milano, dove si specializzerà in economia e management sanitario. Una favola senza macchia e senza dolore? No, perché la vita è anche questo. «La tristezza arriva, ci si sente sopraffare e sembra che tutto sia inutile. Capita anche a me, ma la fortuna di poter condividere le tue debolezze con persone che ti capiscono non ha prezzo, ed è la leva per stare subito meglio». Il dolore non si spettacolarizza, la paura non si spettacolarizza. Ma se c'è una cosa a cui possono servire i riflettori, è dare una buona ragione agli altri per provarci. «La malattia immobilizza, vedo moltissima fragilità soprattutto da parte degli uomini che si isolano e non riescono a reagire - conclude Chiara -. Ed è proprio a loro che mi rivolgo: noi malati oncologici dobbiamo vivere, non sopravvivere perché il tempo di oggi è il nostro tempo migliore. Nessuna diagnosi è definitiva: mi avevano dato nove mesi, sono passati quattro anni». I sogni hanno dei superpoteri. Anche quello di fermare la clessidra.
 

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