Da abate rimosse il prete no global, ​oggi la pace prima di morire

Da abate rimosse il prete no global, oggi la pace prima di morire
L'ultimo conforto lo ha trovato stringendo la mano al «sacerdote No global» che sedici anni fa proprio lui aveva rimosso dalla parrocchia di Sant'Angelo a...

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L'ultimo conforto lo ha trovato stringendo la mano al «sacerdote No global» che sedici anni fa proprio lui aveva rimosso dalla parrocchia di Sant'Angelo a Scala per le sue iniziative e simpatie nei confronti dei movimenti antagonisti, dei Disubbidienti, e per le sue frequentazioni con i leader di quel mondo, da Francesco Caruso a Luca Casarini. Monsignor Tarcisio Nazzaro, Abate emerito di Montevergine, il santuario benedettino fondato nove secoli fa da San Guglielmo da Vercelli sulla cime del monte Partenio, prima di morire questa mattina a 85 anni all'ospedale San Giuseppe Moscati di Avellino, ha voluto riconciliarsi definitivamente con don Vitaliano Della Sala, il parroco della ex diocesi di Montevergine, che in seguito a quella rimozione nel febbraio del 2005 fu sospeso a divinis per sei mesi.


Grazie anche ai buoni uffici dell'attuale Abate della millenaria comunità verginiana, monsignor Riccardo Guariglia, i rapporti tra l'ex abate e don Vitaliano si erano stemperati da tempo. Frequenti le occasioni in cui i due sacerdoti, dopo le burrascose vicende del passato, si erano ritrovati a confronto. L'anziano vescovo, in stato di semi-incoscienza, ha accolto il saluto che gli ha rivolto don Vitaliano e gli ha teso la mano prima di morire.


Don Tarcisio, originario di Aiello del Sabato, ha dedicato tutta la sua vita al magistero benedettino: a soli 12 anni venne affidato dai genitori alla comunità monastica di Montevergine e da allora ha vissuto tutta la sua vita nel santuario dedicato a Mamma Schiavone, anche dopo la sua andata in pensione nel 2005. «Non era affatto una cattiva persona - dice don Vitaliano Della Sala, oggi parroco a Mercogliano dell'antica chiesa di Capocastello - è stato sempre severo prima con se stesso che con gli altri. Il suo rigore, forse, gli ha impedito di cogliere e accettare i cambiamenti che inevitabilmente finiscono per coinvolgere e interrogare anche la Chiesa. Ma questo - conclude il sacerdote che agli inizi degli anni Novanta pose sul campanile della chiesa la bandiera di Cuba in segno di protesta per le sanzioni all'isola di Fidel Castro - nulla toglie alla sua probità di sacerdote e monaco». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino