Avionica, calcio e geopolitica

Le strategie di sportwashing e soft power utilizzate da molti Paesi

Avionica, calcio e geopolitica
Andare oltre il novantesimo. Sollevare lo sguardo e riflettere su come lo sport, oggi come nel passato, diventi strumento di azione e quindi di analisi geopolitica. ...

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Andare oltre il novantesimo. Sollevare lo sguardo e riflettere su come lo sport, oggi come nel passato, diventi strumento di azione e quindi di analisi geopolitica.


L'associazione Avionica allarga i propri orizzonti con l'incontro di oggi dal titolo "Oltre il novantesimo. Il calcio come strumento di egemonia politico-culturale - Strategie di sportwashing e soft power" in programma alle 18 presso la sede in via Colombo 16 ad Avellino. Interverranno Gabriele Granato e Andrea Ponticelli, autori del blog Calcio e rivoluzione. Modererà Oscar Cini.

Letteralmente il termine sportwashing, lavaggio attraverso lo sport nasce mutuando l'analogo greenwashing, diffusosi agli inizi degli anni '90 per definire l'atteggiamento di quelle aziende che dimostravano una coscienza climatica solamente per nascondere condotte totalmente opposte. Lo sportwashing è quindi l'utilizzo dello sport per ripulire la faccia di uno Stato, offuscando condotte illecite, per recuperare una buona reputazione internazionale.

«Riteniamo importante affrontare tali questioni per accrescere la consapevolezza di ognuno di noi» fanno saper gli organizzatori. «Riconoscere certe dinamiche nascoste dietro al mondo del calcio, ci aiuta a capire tanto in tema di geopolitica globale, fornendoci gli input per comprendere scelte che spesso subiamo passivamente. Confrontarsi ed approfondire ci rende cittadini e tifosi più responsabili, permettendoci di agire in maniera critica e coscienziosa. Fin ora in città non si è mai assistito ad un dibattito di questo tipo, pur essendo un luogo che vive e respira calcio quotidianamente e che nutre un pubblico di affezionatissimi assai numeroso. È innegabile quanto le vicende sportive siano centrali nella nostra Avellino e con quanta superficialità siano spesso trattate. Pensiamo che sia giusto parlare e analizzare gli aspetti problematici che coinvolgono questo ambiente in maniera più ampia, e anche a quanto sia importante poter avere luoghi di discussione in cui crescere insieme. La violenza di genere, il razzismo, il disinteresse, l'indifferenza, le ingiustizie si combattono anche e soprattutto in questo modo».

Il termine sportwashing nasce nel 2015 coniato dall'attivista e giornalista Rebecca Vincent, mettendo in evidenza il tentativo dell'Azerbaijan di distrarre dai problemi riguardo i diritti umani tramite prestigiose sponsorizzazioni o ospitando eventi sportivi. Oggi l'accostamento del Qatar, dell'Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti a tale termine appare immediato, ma in realtà la pratica è davvero vecchia quanto il mondo come ci spiega Margherita Iommazzo: «Il primo caso risale addirittura al 416 a.C. quando Alcibiade, politico ateniese, investì un'ingente somma di denaro per concorrere alle Olimpiadi con sette diversi carri, ottenendo un primo, un secondo e un quarto posto. Questo nel bel mezzo della guerra tra Atene e Sparta con Atene in difficoltà».

In epoca moderna è stato strumento dei regimi totalitari (Olimpiadi di Berlino del 1936, Mondiali di calcio del 1978 in Argentina). «In realtà lo sportwashing può essere visto come uno strumento di softpower, cioè la capacità di un Paese di influenzare attraverso la cooptazione e non la coercizione, ossia attraverso un potere soft, diverso dall'hard power economico o militare. Il riferimento tipico è quello agli Stati Uniti d'America, paese in grado, da sempre, attraverso il cinema, la televisione, l'arte, la letteratura e molte altre cose, di imporre i propri modelli ed influenzare altri paesi sfruttando la propria capacità e la propria potenza culturale».
 

 

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Il Mattino