Iia, la donna simbolo della lotta: «Siamo sfiduciati, ma continuiamo a combattere»

Per Irisbus ricomincia l'incubo della chiusura

La fabbrica della Iia
Tra rabbia e delusione. Dodici anni dopo, i lavoratori della Industria Italiana Autobus sembrano ripiombati in un incubo che speravano di essersi lasciati alle spalle. ...

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Tra rabbia e delusione. Dodici anni dopo, i lavoratori della Industria Italiana Autobus sembrano ripiombati in un incubo che speravano di essersi lasciati alle spalle.

Il rischio di veder vanificare tutto quanto costruito in questi ultimi anni è concreto, anche se la situazione rispetto al momento in cui il gruppo Cnh Industrial annunciò la cessazione dell'attività è profondamente cambiata. La proprietà della Industria Italiana Autobus ha investito molto, sia per la ristrutturazione che per la reindustrializzazione della fabbrica, senza riuscire, tuttavia, a far decollare il progetto di polo unico nazionale di produzione degli autobus. Inoltre, ha acquisito commesse per oltre mille autobus ed ha lavorato alla sperimentazione dei mezzi elettrici e a idrogeno. Eppure, il progetto è a rischio perché mancano le finanze necessarie all'acquisizione della componentistica fondamentale per portare la produzione a regime.

Sembra un paradosso, ma è la realtà di un'azienda che assicura attività solo in Irpinia a oltre 370 addetti e rappresenta, soprattutto, un punto di riferimento per le speranze di rilancio e rinascita di un intero territorio.
Una situazione a cui solo chi vive la fabbrica e, soprattutto, ha vissuto, in prima linea, gli ultimi dodici anni di vertenza, di battaglia e di proteste, può provare a dare una spiegazione.

Dodici anni dopo, Silvia Curcio resta ancora uno dei simboli della lotta. «Siamo reduci racconta da anni bui, in cui il gruppo Fiat aveva creato un vuoto dentro ognuno di noi: abbiamo lottato pur avendo il nulla davanti e abbiamo raggiunto un traguardo insperato. Abbiamo perso tanto, sia in termini economici che, soprattutto, di serenità. Ora, non c'è più la determinazione per provare a ripetere un percorso simile: siamo stanchi e sfiduciati e, per questo, la condizione attuale è ancora più preoccupante». La pasionaria di valle Ufita fa emergere lo sconforto di «vivere in un Paese in cui non si riesce a dare continuità ad un progetto industriale per la realizzazione di autobus di cui abbiamo necessità».

Stavolta, non c'è alcuna comunicazione improvvisa come quella arrivata nella mattina del 7 luglio 2011 attraverso le pagine de Il Mattino. I campanelli di allarme sono risuonati forti e più volte. «Abbiamo denunciato a più riprese - dice ancora Curcio - la disorganizzazione dell'attività ed i problemi gestionali. Abbiamo ottenuto solo un ricambio di responsabili delle varie fasi della produzione, tutti inadeguati. I suggerimenti, dettati dalla lunga esperienza e competenza maturati, per provare a migliore e superare le difficoltà sono caduti nel vuoto».

Ancora una volta, Silvia dimostra di avere un sesto senso, una capacità di leggere tra le righe delle varie situazioni. «La sensazione - aggiunge - è che tutto quanto sta capitando sia parte di un disegno ben definito, già realizzato da parte di chi detiene il potere decisionale. È assurdo e impensabile, infatti, che un'azienda pubblica, con un socio come Leonardo, non sappia individuare una gestione della catena di distribuzione (supply chain management) che si occupi di produzione, acquisto e logistica. Una società che non investe nei reparti fondamentali come la carpenteria e la verniciatura, dove lavorano operai specializzati, lascia intendere la volontà di esternalizzare tali attività, creando i presupposti per costruire un prodotto di scarsa qualità. Non lasceremo, però, passare il messaggio che gli operai dello stabilimento di valle Ufita della Industria Italiana Autobus non abbiano adeguate competenze e professionalità. Soprattutto, non permetteremo che ci considerino fannulloni che protestano per la temporizzazione dei distributori al solo scopo di fare continue pause».

Messaggi chiari che dovranno essere ben intesi da chi da mesi dà l'impressione di essere più interessato a lavorare a progetti, accordi e cessioni, tralasciando il cuore pulsante dell'azienda che è la produzione di autobus. «Abbiamo dimostrato - chiosa Silvia Curcio - di saper produrre autobus quando non c'erano attrezzature ed abbiamo lavorato in condizioni difficili e complicate. Rispediamo al mittente l'idea di smantellare la fabbrica: i giovani che hanno trovato lavoro nel loro territorio hanno diritto a coltivare il sogno di un futuro migliore. Le migliaia di metri quadrati di capannoni ristrutturati e di terreni inutilizzati, nel perimetro aziendale, fanno gola a tanti "prenditori", che vorrebbero sfruttare i finanziamenti del Pnrr per fare altro. Non lo permetteremo in alcun modo, anche se questa potrebbe essere la nostra ultima battaglia. Nello stabilimento di valle Ufita si devono realizzare autobus».
 

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Il Mattino