Infezione dopo l'intervento, condannato chirurgo ad Avellino

Infezione dopo l'intervento, condannato chirurgo ad Avellino
Infezione contratta dopo un intervento a causa della mancata copertura antibiotica: dopo il Tribunale di Avellino e la Corte di Appello di Napoli anche la Cassazione conferma la...

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Infezione contratta dopo un intervento a causa della mancata copertura antibiotica: dopo il Tribunale di Avellino e la Corte di Appello di Napoli anche la Cassazione conferma la condanna a seicento euro di multa per il chirurgo Gabriele Carrabs. L'azienda ospedaliera Moscati è stata invece condannata al risarcimento dei danni patiti dalla persona offesa. Una vicenda che risale al 2010. Agli inizi del mese di maggio, presso il nosocomio avellinese, un uomo affetto da ernia del disco viene sottoposto a intervento neurochirurgico sulla colonna vertebrale con installazione di una protesi. L'intervento sembra completamente riuscito, ma subito dopo si sviluppa una grave infezione della ferita chirurgica accompagnata da un violento e persistente dolore al rachide, che compromette la funzionalità dell'arto sinistro del paziente. Si rende così necessario un secondo intervento per rimuovere le protesi eseguito nel mese di giugno, con un prolungamento della malattia per un periodo superiore ai 40 giorni. Scatta un procedimento a carico del medico, accusato di non avere raccolto in maniera completa ed esaustiva tutti i dati relativi alle condizioni del paziente, non effettuando correttamente la preparazione all'intervento mediante somministrazione di copertura antibiotica e non somministrando un adeguato dosaggio di antibiotico prima dell'inizio dell'intervento o comunque entro un'ora dall'incisione. Un'ipotesi accusatoria che coinvolge anche l'ospedale relativamente alle statuizioni civili e che trova conferma nelle sentenze dei primi due gradi di giudizio. Divenendo adesso definitiva con la pronuncia della quarta sezione della Cassazione, presieduta da Giacomo Fumu (relatore Loredana Miccichè).


In particolare gli ermellini non hanno accolto la tesi difensiva incentrata sulla dichiarazione del paziente di allergia a una famiglia di antibiotici. Circostanza che a parere del collegio giudicante non esimeva il medico dal valutare la possibilità di somministrare un antibiotico di diversa appartenenza. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino