Romeo il terremoto del 1980, quello che distrusse gran parte dell’Irpinia e molte zone della Campania, non l’ha vissuto. Lui sarebbe nato solo due anni più...
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Infatti, i due fratelli sono nati e cresciuti a Zungoli, un borgo aggrappato alle montagne avellinesi e che conta poco più di mille abitanti. Un paesino che offre poco già ai normodotati, figurarsi se si hanno problemi psichici: in un’epoca in cui di autismo si parlava poco e se ne sapeva quasi nulla, Gianluca veniva additato come il matto da evitare. Invece per Romeo era l’amato fratello maggiore di cui prendersi cura, quando sarebbe stato naturale avvenisse il contrario: «Mi sono ritrovato a essere un "caregiver bambino", parola che oggi viene usata per le persone che assistono i diversamente abili – racconta ancora Romeo –. Spesso mi disturbava con le sue crisi, impedendomi di studiare, e a volte mi picchiava, creandomi escoriazioni e lividi in varie parti del corpo. Ma la sua aggressività era dovuta alla mancanza di linguaggio, all’incapacità di saper esprimere le proprie emozioni e in questo io e i miei genitori non sapevamo come aiutarlo, perché al tempo non c’erano cure, né terapie».
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Nonostante il grande disagio, Romeo riesce a completare il suo ciclo di studi e a diplomarsi. Ed è già pronto a inseguire le sue aspirazioni, arruolandosi in qualche corpo militare, quando nel 2003 la sua famiglia vive un’altra tragedia: il padre, un piccolo imprenditore agricolo 53enne, è vittima di un incidente sul lavoro, subendo la lesione del midollo e restando paralizzato dal torace in giù. E a quel punto al ragazzo non resta che rimboccarsi le maniche e aiutare sua madre nell’assistenza dei propri cari, consapevole che l’impegno sarà gravoso.
Oggi Romeo lavora come idraulico nella forestale sei mesi all’anno, il resto del tempo lo passa con il fratello, mentre la madre 65enne si occupa del marito con l’aiuto di un’assistente: «C’è una signora che viene a casa grazie a un progetto di cura a domicilio finanziato dalla Regione – spiega il 37enne –. Invece, Gianluca sta con me o con mamma e passa la maggior parte del tempo nella nostra campagna. Due volte a settimana lo accompagno in un centro dov’è in cura e che dista 40 chilometri da casa nostra, ma non è abbastanza».
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L’uomo che oggi ha 42 anni avrebbe bisogno di socializzare molto di più: «L’autismo può essere curato e ci sono tante storie di ragazzi che hanno fatto molti progressi, ma se sei disabile e vivi in un paesino di montagna sei tagliato fuori – denuncia Romeo –. Lo Stato è assente, mentre le associazioni si formano e operano in contesti dove c’è un maggior numero di casi e, quindi, più bisogno». Insomma, ci si ritrova a essere ultimo tra gli ultimi: «Pure in luoghi più popolosi i centri che offrono riabilitazione e attività ricreative sono pochi e carenti dal punto di vista strutturale e sanitario, me ne rendo conto, ma è comunque già qualcosa rispetto a noi che viviamo in un deserto di solitudine ed emarginazione – spiega ancora Romeo –. Nelle condizioni della mia famiglia ce ne sono anche altre, che magari presentano casi ancora più gravi e che sono abbandonate dallo Stato. Eppure basterebbe un po’ più d’impegno e una migliore organizzazione per offrire assistenza anche a chi vive in posti poco accessibili». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino