«Rolling Sponz revue», chiude la kermesse dell'Alta Irpinia

«Rolling Sponz revue», chiude la kermesse dell'Alta Irpinia
Film, dischi ufficiali e bootleg, libri, raccontano quella mitologica tournée che prese il via il 30 ottobre 1975 per terminare il 25 maggio del 1976. Bob Dylan, che nel...

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Film, dischi ufficiali e bootleg, libri, raccontano quella mitologica tournée che prese il via il 30 ottobre 1975 per terminare il 25 maggio del 1976. Bob Dylan, che nel bel mezzo del giro di concerti pubblicò un album storico come «Desire» (quello di «Hurricane»), aveva messo in piedi un circo folk-rock, una carovana burlesque che lo vedeva affiancato da una settantina di complici, tra cui Joan Baez, Roger McGuinn, Ramblin' Jack Elliott, Kinky Friedman, Bob Neuwirth, David Blue, Sam Shepard, Allen Ginsberg, Joni Mitchell e una band che schierava T-Bone Burnett, Mick Ronson, David Mansfield, Scarlet Rivera, Rob Stoner e Howie Wyeth.

Tutto questo c'entra e non c'entra con la notte conclusiva dello «Sponz fest 2022». C'entra perché il titolo, «Rolling sponz revue» guarda alla gloriosa storia di quella «Rolling thunder revue», per poi virare verso caposseliani cocktail sonori. «Mi piace l'idea della rivista, del mucchio selvaggio, della possibilità di unire la tua voce con quella di tanti altri», ricorda Vinicio, che ha messo in piedi un cast ricco e variegato come piace a lui. Innanzitutto la band, anzi il collettivo di musicisti: Alessandro «Asso» Stefana, Andrea La Macchia, Antonio Guardione, Eusebio Martinelli, Giovannangelo de Gennaro, Irene Sciacovelli («Sarà la mia Joan Baez», azzarda l'uomo delle canzoni a manovella), Peppe Leone, l'inglese Mikey Kenney, la cubana Sol Ruiz, Victor Herrero. Poi la struttura, con set «tematici» in cui il repertorio caposseliano si incastra con quello degli ospiti: Davide Ambrogio, Edda, Giovanni Truppi, John De Leo, Mara Redeghieri, Micah P. Hinson, Pietro Brunello. E quando tutto sembrerà alla fine, spunterà l'Electro Organic Orchestra che annuncia un'esperienza sonora e visiva ottenuta sfruttando gli impulsi dei batteri e degli elementi organici raccolti nei giorni precedenti nelle acque ferme del suolo della collina». Già perché l'appuntamento è a Gagliano, alle 21 circa, biglietto 20 euro, gratis sotto i 13 anni. 

«Farò il bibitaro per tutta la giornata, poi se ci tengono davvero salgo sul palco», scherza Stefano Rampoldi, che abbiamo imparato a conoscere come Edda sin dagli anni Ottanta dei Ritmo Tribale, contento di fare rotta al Sud, «di essere stato invitato nel paese di Vinicio, di poter vedere le sue radici e, magari, suonare le mie, per quanto confuse siano». Edda, ad esempio, ricorda di aver approcciato il punk a Londra nelle vesti di Hare Krishna e promette un percorso altrettanto sorprendente con il suo prossimo album, il sesto, di cui potrebbe anticipare stasera qualcosa: «Si chiamerà Illusion, dovrebbe uscire il 23 settembre e contenere undici brani prodotti da Gianni Maroccolo, un mito per me. Non credevo mai di riuscire a lavorare con lui, eppure è successo, ma solo perché mi ha cercato lui: mi ha proposto di lavorare sulla mia voce e la mia chitarra. Un pazzo, io sono il peggior chitarrista del mondo intero. Eppure, ne ha tratto cose sorprendenti. È una roba scarna, basso, chitarra e batteria. Eppure... Ogni tanto riascoltando i brani sentivo dei suoni di violini, di mandolini e gli chiedevo: Ma che roba è? Dove li hai presi?. E lui mi spiegava che era sempre la mia chitarra, campionata, trattata, ritagliata, moltiplicata: maroccolate, insomma». 

Non farà la bibitara, ma la pasionaria, invece, Mara Redeghieri, altra voce storica del rock italiano, anni Novanta però, con gli Ustmamò e con tutto il giro Cccp, Csi e Pgr (tanto per restare in zona Maroccolo): «Con Capossela ci siamo conosciuti l'anno scorso, in occasione di una tappa del suo Sponz arrivata sino a casa mia, nel piazzale di Pietra di Bismantova. Ci siamo piaciuti, mi ha sentito intonare canti libertari e di rivoluzione, mi ha chiesto di portarli a Calitri come mio contributo alla serata. È un momento delicato, non solo in Italia, e non solo per le elezioni imminenti, serve ribadire anche in musica la scelta di stare dalla parte dei diseredati, dei senzaniente, dare voce ai senzavoce». Insomma un nuovo «Materiale resistente», citando un album collettivo storico del «2010»: «Sì, eravamo a cinquant'anni dalla Liberazione, ma la battaglia per la libertà dei partigiani non è finita, non è vinta per sempre. Servono nuovi partigiani, io un po' mi sento così». 

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Il Mattino