Bartleby e compagnia 

Bartleby e compagnia 
«Smetto per quella strana idea di essere più normale», dice Alice Munro, scrittrice canadese. E i giornali ci fanno le pagine, prima c’era stato il “caso” Philip Roth, in...

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«Smetto per quella strana idea di essere più normale», dice Alice Munro, scrittrice canadese. E i giornali ci fanno le pagine, prima c’era stato il “caso” Philip Roth, in realtà smettono di pubblicare, che è cosa diversa dallo smettere di scrivere, perché scrittori del genere continuano a scrivere: sempre. Anni fa, Enrique Vila-Matas pubblicò “Bartleby e compagnia”, c’erano quelli che smettevano di scrivere e persino quelli che non iniziavano. C’erano storie bellissime, come quella del messicano Juan Rulfo che rispondeva: «è che è morto lo zio Celerino, quello che mi raccontava le storie», o lo scrittore spagnolo Felipe Alfau, che emigrò negli Usa e attribuì la colpa all’inglese, che gli aveva «complicato la vita». C’è Bobi Bazlen che scriveva solo note a piè di pagina, per troppo rispetto, e tanti altri, e poi Marguerite Duras: «scrivere è anche non parlare, tacere, urlare senza emettere suoni». La Munro, che dice di non voler più essere isolata alla sua età, vuole – solo –  parlare e sentire la sua voce. Se e quando vorrà riprendere: le basterà chiudere la porta e sedersi. 
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Il Mattino