Giuseppe Riva è docente di Psicologia della comunicazione all'Università Cattolica di Milano, presidente dell'Associazione internazionle di cyberpsicologia e...
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«Farsi gettare addosso un secchio di acqua ghiacciata durante l'estate, riprendere l'azione e pubblicarla on line. Diversi balletti, salti o anche bere un litro d'acqua senza staccare la bocca dalla bottiglia. E, spesso, il gioco consiste nel nominare qualcuno che deve continuare».
Perché accettare?
«È un rito di iniziazione, di passaggio, per capire fin dove è possibile spingersi».
Ma questi giochi possono diventare tragici.
«Accanto ad attività prettamente ludiche, è possibile indurre a una serie di coercizioni».
Come si arriva a questo?
«Inizia, quando c'è qualcuno che chiede di fare cose non così gravi o pericolose. E, se il ragazzino accetta, lo spinge a proseguire, dicendo che altrimenti è pronto a rivelare tutto, scatenando un senso di impotenza che può spingere a compiere gesti estremi per uscire dal gioco».
Che fare, allora?
«Spesso i contatti online restano un mondo privato, che il genitore nemmeno conosce».
Meglio vietare lo smartphone, e fino a che età?
«Ormai viene regalato alla prima comunione, che si fa a 8-9 anni, pur se sarebbe meglio aspettare le scuole medie. In ogni caso si possono contrattare le regole, dicendo ai figli che i genitori vedono cosa fanno on line».
Ma i genitori sono spesso inconsapevoli dei pericoli.
«Difatti, spetta anche alle scuole aiutare i ragazzi a capire quali sono le minacce e come affrontarle».
Tutti i bambini indistintamente possono essere attratti da giochi pericolosi o ci sono fattori che ne aumentano la probabilità?
«A 13 anni, l'età più critica. E gli adolescenti timidi e isolati possono trovare nella sfida una rivalsa. Soprattutto i maschi».
Quali sono i campanelli di allarme, se esistono.
«L'uso continuo del cellulare, soprattutto l'indisponibilità a mostrare i contenuti. Ma l'accesso ai social apre un mondo in cui è effettivamente facile perdere il controllo».
Instagram ha eliminato il numero di like , non a caso.
«Si tratta di strumenti che spingono molto al confronto sociale. E i ragazzini, che non hanno contezza della manipolazione delle immagini, possono ritrovarsi ad avere la sindrome del pulcino nero. Avere un senso inadeguatezza, depressione ee disturbi alimentari».
Come si cura, invece, un genitore dopo un fatto abnorme?
«Occorre l'intervento di uno specialista per accettare il lutto, superare il senso di colpa e andare avanti»
Dal lockdown si registra un aumento dei reati on line ed è in crescita anche il disagio psicologico. Con strumenti come WhatsApp e Fb , lo schermo diventa una barriera nelle relazioni reali?
«Aumenta l'analfabetismo emotivo: non riconoscere cosa provano gli altri spinge anche a non saper trasmettere e gestire i propri sentimenti, e può portare a comportamenti eclatanti che in altri momenti si sarebbero compiuti. Di qui il bisogno di ritrovarsi. Anche a tavola. Il faccia a faccia serve a raccontare ed esprimersi senza mediazione della tecnologia». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino