Negli ospedali, a bordo delle ambulanze, nei laboratori, negli ambulatori, ora anche nelle tende azzurre montate per assistere i pazienti Covid-19: medici, infermieri e gli altri...
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Pasquale Bellopede, caposala al pronto soccorso del Cotugno, polo di riferimento regionale per il coronavirus: «Non possiamo più sorridere ma solo guardare negli occhi i nostri pazienti: è cambiato tutto con le mascherine, i contatti umani sono ridotti. E questo dispiace. C'è troppa sofferenza e ancora tanta gente in giro: restare in casa è l'unica via d'uscita. Per tutti».
Tiziana Di Matola, dirigente medico nel laboratorio che analizza gli esami dei pazienti Covid-19, azienda dei Colli: «Questa notte ho sognato di riabbracciare i miei genitori: è tanto che non li vedo, mi mancano. Ma il risveglio è come un tuffo nel buio: era solo un sogno, ai tempi del coronavirus».
Massimo Imparato, operatore socio-sanitario al Cardarelli, in neruochirurgia, uno dei reparti del contagio: «Torno a casa e continuo a indossare la mascherina: respingo mia figlia di due anni, dormo da solo ma spesso non riesco nemmeno a chiudere occhio. Vado in cucina e mi manca il respiro: temo che prima o poi capiterà anche a me, ma sarei un vigliacco a tirarmi indietro. Non mi sento un eroe, spero solo di non far ammalare la mia famiglia, sarebbe importante avere tutti i dispositivi di protezione in una guerra anche psicologica».
Luigi Califano, presidente della Scuola di medicina della Federico II, ricorda Galderisi: «Un docente e un medico di assoluto valore, ha sempre anteposto l'aspetto umano in ambito medico come in quello universitario con i colleghi docenti, con gli studenti e con il personale tecnico e amministrativo. Una perdita immensa».
Leopoldo Caruso, chirurgo ai Pellegrini, amico di Antonio Buonomo, uno dei medici morti in Campania: «Era un professionista stimato da tutti, una persona perbene che non va dimenticata. Ma oggi ci sono altri colleghi, che si sono contagiati lavorando e stanno lottando, come M.R., infettivologo, che già prima di essere ricoverato tra i suoi pazienti, nel suo ospedale, ha salvato tante vite umane: per farlo, aveva anche rinunciato a vedere la mamma, ammalata terminale».
Gianluca Leone, farmacista al Vomero, tra i quartieri più con tanti casi sospetti o accertati: «Noi ci siamo attrezzati con mascherine riutilizzate, anche se non si dovrebbe fare, ma non ce ne sono abbastanza, e indossiamo un casco in plexiglass. Abbiamo questa barriera sul viso per proteggerci. Con tutte le difficoltà e le preoccupazioni del caso, siamo qui, siamo a lavoro, sperando di dare anche solo una parola di conforto, una piccola mano: ci sono anche altre patologie che richiedono la distribuzione di farmaci salvavita».
Simona Petrone, farmacista a due passi dallo studio di Nino Autore, il primo medico di famiglia ucciso dal nuovo virus: «Era una persona splendida, un professionista in gamba che si è sacrificato lavorando fino all'ultimo. Una perdita inaccettabile. In questo momento di difficoltà affiorano tutte le carenze nel sistema sanitario».
Paolo Ascierto, oncologo del Pascale e ideatore della terapia con il farmaco anti-artrite per curare la polmonite severa scatenata dalla malattia: «Questa esperienza ci insegna diverse cose, in primis mai più sottovalutare pericoli del genere: dopo aver scampato l'aviaria e la Sars avevamo pensato di poter essere immuni da queste tragedie. Non è così. Occorre avere pronti piani reali in modo da contenere immediatamente l'infezione e prendersi cura dei casi più gravi, e finanziare la ricerca perché solo attraverso questa le idee vengono trasformate in cose realmente pratiche. Uniti si vince ... 1+1=3. Passerà!» Leggi l'articolo completo su
Il Mattino