Cultura criminale in Rete: 'O sistema e la comunicazione mafiosa 2.0

Cultura criminale in Rete: 'O sistema e la comunicazione mafiosa 2.0
Presi dall'indignazione sull'intervista televisiva al figlio di Totò Riina, ci sfuggono comunicazioni costanti, messaggi visibili in ogni momento della subcultura...

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Presi dall'indignazione sull'intervista televisiva al figlio di Totò Riina, ci sfuggono comunicazioni costanti, messaggi visibili in ogni momento della subcultura criminale che conquista la Rete.  Su Facebook si moltiplicano pagine a "sostegno dei detenuti", immagini di pistole e tatuaggi, slang e battute riprese dalla fiction Gomorra, dal film Scarface, o dai video di neomelodici su carceri e pentiti.


'O sistema, scritto però con l'accento dalla parte sbagliata, è uno di questi esempi da decodificare. Bene ha fatto un giornalista attento come Roberto Russo ad occuparsene sul Corriere del Mezzogiorno. Si tratta di un esempio illuminante, una pagina su Fb aperta da almeno quattro mesi, che si è conquistata 23459 like ed è dedicata dal suo amministratore a sostegno dei carcerati e delle carcerate. 

Il contenuto è esplicito, come i riferimenti: video di scene della fiction Gomorra, foto di Al Pacino nel film Scarface, immagini di pistole e murales con scritte tipo Questure, politici e giornali nomi diversi, stessi maiali oppure Meglio nudi che in divisa. La ripetuta citazione del carcere di Cavadonna a Siracusa fa venire il sospetto che l'amministratore sia siciliano. Ma non è detto.

La foto dell'attore Salvatore Esposito, alias Genny Savastano in Gomorra la serie porta la scritta La vita è come un'opera teatrale dove ogni attore si troverà, prima o poi, a recitare il suo ultimo atto. Diversa la frase sull'attrice Maria Pia Calzone, che è la mamma di Savastano: Nun te scurdà ca o più megl amico po' addiventà nemico!

Poca ironia e più manifestazioni di sentita solidarietà all'omertà, come dimostra anche nell'immagine di copertina dei tre bambini che si coprono orecchie, bocca e occhi come le famose tre scimmiette. Tante pistole e foto di tatuaggi, un'immagine di un gruppo che sembra partire per una stesa, che è la dimostrazione armata in sella alle moto. E poi, disprezzo per i collaboratori di giustizia, con l'aggiunta di un'informazione sulla situazione del dibattito su condono e amnistia. E video di neomelodici Carmelo Falla o Marco Fabiani.

Un illuminante campionario di quella cultura, che si diffonde in più ambienti sociali e - lo sa bene chi conosce il mondo degli adolescenti per motivi di lavoro - diventa atteggiamento di vita, identificazione con linguaggi violenti, frasi ripetute a memoria, filosofie da omertà-frate-'nfame-violenza-sbirri da evitare. 


La Rete è una grande prateria dove si trova di tutto. Così, non basta indignarsi per l'intervista di Bruno Vespa al figlio di Riina. Bisognerebbe andare oltre, capire come, in ambienti mafiosi e anche tra adolescenti di diverse estrazioni sociali, si affermi la subcultura criminale, si ammirino idoli virtuali che riproducono figure di mafiosi-camorristi. Quando la denuncia si fa spettacolo rischia di alimentare alibi e concime culturale al fenomeno che si vorrebbe avversare. Decodificare i messaggi di Riina junior va bene, ma anche cominciare a discutere di come si tratta il fenomeno mafia è ormai indispensabile. Almeno a leggere il contenuto della pagina O' sistema. Stavolta scritta con l'originale accento sbagliato. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino