Fare uscire la legge anti corruzione dalla palude 

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Altro che (molto poco) sofisticato dibattito tra rigoristi e sostenitori di politiche espansive. Se non mettiamo una pezza alla corruzione, i 50 miliardi di Euro di investimenti pubblici che l’Italia spende (assolutamente pochi rispetto a qualche anno fa, inferiori alle cifre degli altri Paesi europei e che dovrebbero aumentare) sono persino troppi. E allora la riforma minima che dobbiamo fare (e che aspetta da due anni in Parlamento) è quella sulla corruzione. Ma come? Forse bisogna fare uno sforzo di pragmatismo in un dibattito dove l'ideologie servono a garantire che non si faccia un passo avanti. Sul fronte delle pene: puntare sull’aggravamento dell’interdizione dai pubblici uffici più che al carcere (anche se è vero: sono pochi i corrotti in galera e troppi gli imputati in attesa di giudizio). Ciò è fondamentale per evitare che i corrotti continuino a inquinare le gare future per un numero di anni sufficiente alla ricreazione di un mercato. Restituzione delle risorse sottratte allo Stato che vadano automaticamente a sgravare il debito pubblico visto che esso è anche frutto della sommatoria dei furti durati decenni, usando, ad esempio, la Corte dei Conti con poteri sostitutivi delle singole amministrazioni. Sul fronte processuale: corsie preferenziali nei processi di corruzione (deve essere possibile che vengano identificate, annualmente, priorità nell’azione giudiziaria) e, ovviamente, tempi di prescrizione più lunghi. E forti sconti di pena per chi collabora (negli Usa si arriva all'immunità). C’è, però, anche la riforma complessiva degli appalti. Abolire tutte le “barriere all’entrata” (si chiamano fatturati “specifici”) che inchiodano le amministrazioni a usare gli stessi fornitori del passato: ciò aprirebbe all’innovazione che in alcuni settori richiede anche tecnologie non italiane. Rafforzare, contemporaneamente, pagamenti legati ai risultati: un’opera pubblica andrebbe pagata anche in funzione inversa al tempo che è stato necessario alla realizzazione e le fideiussioni dovrebbero valere anche dopo il collaudo per potersi rivalere se il vizio dell’opera si manifesta qualche mese dopo la consegna. Infine: i certificati. Hanno solo aumentato la burocrazia e chiuso ancora di più il mercato. Di più può la trasparenza: serve a identificare anomalie prima che diventino patologie; usando, peraltro, i cittadini nel controllo sociale.
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Il Mattino