Forse, scrivere è un tic

Forse, scrivere è un tic
Dan Brown si appende a testa in giù quando non trova ispirazione, visti i risultati (letterari non di vendite) dovrebbe starci ancora a lungo. Il punto è la confusione tra...

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Dan Brown si appende a testa in giù quando non trova ispirazione, visti i risultati (letterari non di vendite) dovrebbe starci ancora a lungo. Il punto è la confusione tra scrittore di successo e grande scrittore, in molti confondono i numeri del venduto col numero delle pagine che vanno oltre il tempo. Il vero scrittore è quello capace di creare un capolavoro (penso a Bolaño, a Wilcock, a McCarthy), non quello di credersi un capolavoro perché ha costruito un impero economico, tanto che può dichiarare di appendersi a testa in giù senza intervistatore e lettore ridano. «Il nuovo romanzo di Dan Brown, E' arrivato! Da oggi in libreria: "Inferno", il romanzo che è già best-seller!» Questa la frase che mi ritrovo ovunque – posta elettronica, facebook e twitter – e allora sono andato in libreria a sfogliarlo e più leggevo, più pensavo a Gore Vidal che di un libro disse: «come tre giorni di mestruazioni». Poi, uscendo mi son chiesto: chissà perché Dan Brown scrive? No, non in senso dispregiativo ma antropologico, perché si capisce tutto, da come uno scrittore racconta la sua scelta, la mia risposta preferita è quella di Luigi Malerba: «scrivo per capire quello che penso», poi ci sono quelli che non potevano fare altro come Ezra Pound:  «da una parte mio nonno corrispondeva abitualmente in versi con il direttore della banca locale. Dall’altra mia nonna ei suoi fratelli si scambiavano lettere in versi. Si dava per scontato che chiunque ne scrivesse».

Avrà sicuramente del metodo Dan Brown –senza non si scrive – come raccontava Francesco Piccolo, in un bel libretto “Scrivere è un tic” uscito qualche anno fa da minimumfax, dove c’erano tutte le abitudini e le scelte dei maggiori scrittori del ‘900, e sono convinto che Dan Brown abbia metodo e anche capacità, ma non ha voce né lingua né mondo (ha preso in prestito quello Vaticano) e ogni volta che apro una sua pagina mi torna in mente Ernest Hemingway che si chiedeva: «Povero Faulkner. Davvero crede che i paroloni suscitino forti emozioni?»
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Il Mattino