Il giocoliere Arbasinho

Il giocoliere Arbasinho
L’irrilevanza della produzione letteraria italiana si vede ogni volta che Alberto Arbasino pubblica un libro, segnando ancora un po’ la perdita, il distacco, col...

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L’irrilevanza della produzione letteraria italiana si vede ogni volta che Alberto Arbasino pubblica un libro, segnando ancora un po’ la perdita, il distacco, col grande mondo che – dalla pittura passando per l’Opera lirica, dal cinema al teatro, con la letteratura a fare da legame – vive in lui. In “Ritratti e immagini” (Adelphi) c’è l’ennesima puntata della vita del ragazzo di Voghera, l’attraversamento musicale della grandezza in ogni campo e della restituzione di questa (da T. S. Eliot a Nabokov). Il ritmo della sua lingua meriterebbe una festa per ogni libro, nonostante la sua saudade per la giovinezza e il mondo migliore. Ma “il giocoliere Arbasinho” (la definizione è di Edmondo Berselli) è un fuoriclasse, così capolavoro vivente da non essere tradotto (anche perché appartiene al grado Gadda della complessità di scrittura), mentre si esporta miseria pseudo letteraria, che viene imposta e letta. Classifiche e mercato della semplicità disegnano uno scarso profilo della narrativa italiana, tanto che quando, oltre i giallisti, appare la Ferrante: ai critici stranieri non sembra vero che in Italia ci sia qualcuno che scrive storie senza pistole. 
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Il Mattino