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Quando Paolo Mauri e i critici come lui usciranno dalla fase “moralismo antropologico del ricordo” allora le periferie romane saranno solo periferie come lo sono quelle parigine o newyorchesi. Perché il critico de “la Repubblica” apparecchia due pagine per il libro di Caterina Bonvicini (“Correva l’anno del nostro amore”) e in virtù delle periferie romane (chissà quando ci faranno i tour e soprattutto gli agenti immobiliari useranno Pasolini per promuovere le case che hanno da vendere) scomoda l’ovvio e ci lega altri libri da Cerami a Trevi. A parte che la Bonvicini sta a Pasolini come Ceronetti al contemporaneo, il punto è la mancata uscita dai riflessi condizionati. Se Cracco dicesse che i Chupa Chups sono alta cucina nessuno più gli crederebbe, invece Mauri allestisce pagine su una presunta eredità pasoliniana (totalmente assente) e lo fa in virtù della periferia romana. Il punto è che si dovrebbe distinguere tra pasoliniano nel senso di uno scrittore che ne abbraccia le tesi o prova ad attualizzarne l’opera rileggendola e tra nostalgia e luoghi pasoliniani che a questo punto sono catalogabili tipo la sindrome di Gerusalemme, aspettando gli agenti immobiliari che renderanno una servizio migliore al poeta. 

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Il Mattino