In the name of truth 

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Georges Simenon, che sapeva quanto contassero i nomi: nella vita e di più nella fiction, sarebbe impazzito per “True Story” di Michael Finkel (Piemme), – un nome con la rima, tra l’altro –; anche a Truman Capote sarebbe piaciuta questo vicenda, non per i nomi, ma per come verità e finzione si sono intrecciate. La storia è vera anche se parte da due bugie: quella di Michael Finkel ex giornalista del “New York Times” che viene cacciato dal giornale per aver inventato un reportage, rimontandolo da notizie reali, e Christian Longo che dopo aver ucciso moglie e tre figli in Oregon fugge in Messico fingendo di essere Finkel, giornalista del “NYT”, calandosi nella parte fino all’arresto. Mentre il nome Finkel stampato su un giornale perdeva forza dopo aver fatto di tutto per ottenerla a NY, a Cancun diventava una ottima copertura e regalava persino la speranza di una nuova vita. Una lezione di giornalismo e di redenzione, che insegna come da un errore grave, un inganno, si possa ripartire, avendo il talento per riscriversi e riscrivere. 
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Il Mattino