L'amara scienza

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Trent’anni fa sulle pagine del "Mattino", Luigi Compagnone, uno scrittore dispari, si interrogava sul successo o l’insuccesso dei libri. Preoccupandosi molto “dell’insipienza dell’industria culturale, o editoriale”, arrivando a invocare una classifica anche per i libri invenduti con annesso aggettivo capace di denigrare il libro, per uno dei suoi chiedeva: “flatulento, ripugnante, obbrobrioso, stercorario”. E poi continuava giocando di fascette e paradossi come: “ci è andato Evtušenko quindi la Carrà è un critico letterario”. Oggi impazzirebbe a sapere che i libri vengono consumati nel giro di tre mesi, che le case editrici dopo due anni li mandano al macero, che gli stessi scrittori parlano di successo (e solo di successo) se è riuscita la campagna selfie col libro, con i dibattiti indotti (vedi Walter Siti) e i premi assegnati prima ancora dell’uscita. Compagnone diceva di aver fondato il “neurorealismo” con l’intento di fare cadere le frontiere tra successo e insuccesso, misurando tutto col termine oscuro – ai romanzi – di Vita.  
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Il Mattino