La ragazza Carla

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La maggior parte degli scrittori italiani scrive in una lingua in saldo, priva di realismo come le storie che raccontano: prive di verità. Ma non la Verità, ma la verità, quella piccola che dà movimento alle cose. È come se si scrivessero libri senza forza, senza suoni, senza aria. Si possono immaginare questi grandi capannoni con editor e scrittori intenti a sistemare sempre la stessa merce, con gli stessi incipit, problemi, personaggi, lungo il nastro riproduttore e poi via alle librerie e giù al lettore. In una catena culturale che nasce per evitare l’incidente di una lingua dispari quindi autentica. Poi dal passato ricompare “La ragazza Carla” (Il Saggiatore) di Elio Pagliarani, e in poche pagine cancella tutto l’inutile che esce in questi giorni. Che proprio uno apre il libro e viene investito dalla musica, e poi vede la città, Milano, e dopo Pagliarani – come se fosse la luce – elenca la vita della ragazza Carla, e con lei focalizza il tempo, quello che non passa: perché inchiodato dalle parole di un poeta.  
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Il Mattino