Il latte dei pastori sardi e il veleno delle canzonette

La protesta dei pastori sardi
«La protesta del latte, lenzuola bianche in Sardegna» (Ansa, 13 febbraio 2019, ore 11.42) *** Diciamocelo. A gran...

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«La protesta del latte, lenzuola bianche in Sardegna» (Ansa, 13 febbraio 2019, ore 11.42)

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Diciamocelo. A gran parte degli italiani piace più discettare del veleno delle canzonette che preoccuparsi del dramma di una parte della sua popolazione che, al di là del Tirreno, lotta contro le vigliaccate del mercato e la sciatteria della politica.

La sofferta protesta dei pastori della Sardegna, che versano a terra, per le strade, migliaia di litri di latte, chiedendo un giusto compenso per il loro prodotto, solo da pochi giorni sta meritando la dovuta attenzione. Prima c'era Sanremo, in grado di rapire i media, la politica e l'opinione pubblica. Tutti, o quasi, interessati alle canzoni del festival, alle polemiche sui testi, alle colorazioni politiche del brano vincitore e al giallo (?) delle giurie. Intanto, un esercito di ostinati pastori sardi, in rappresentanza di ben 12mila aziende produttrici di latte ovicaprino, scendeva in strada esasperato, con i bidoni pieni. Versare a terra il latte appena munto, per un pastore, è il gesto più atroce, grave e doloroso che possa porre in essere: sprecare quel che più ama e che gli dà da vivere rappresenta la  protesta estrema.

Se si soggiace alle leggi del mercato, e non si ottiene un'equa soluzione dalla politica, quegli allevatori e le loro famiglie, una buona parte della Sardegna, soccomberanno. E se l'Italia è (resta, o vuol restare) una, non può dimenticarsi dei pastori sardi o dei contadini siciliani e di quelli campani, dei terremotati umbri e di quelli marchigiani, degli alluvionati della Calabria o dei liguri divisi in due da un ponte crollato.

La vicenda dei pastori sardi non è di oggi. Si trascina da tempo, analoga protesta nel 2010 tracimò in violenza. In sintesi: il latte viene pagato troppo poco, al momento meno di 60 centesimi al litro, dai consorzi di lavorazione del Pecorino Romano Dop, che assorbono il 60% della produzione lattearia sarda (pari quasi a 3 milioni di quintali). L'iperproduzione e forte vendita di pecorino romano prima, e la crisi delle vendite poi, hanno fatto crollare il prezzo del prodotto: dai 7-8 euro al chilogrammo fino a 5,5. Tutto questo si è riverberato sul prezzo del latte: nel periodo di boom del pecorino veniva pagato 1,20 euro al litro, ora a stento si arriva a 55-60 centesimi. Un prezzo assurdo se si pensa che la sola produzione costa all'allevatore circa 70 centesimi al litro.

Si dirà: è il prezzo del prodotto finito che oscilla. Vero, ma proprio per evitare saliscendi eccessivi si stabiliscono le quote di produzione annue di tutta la filiera, che secondo gli allevatori vengono - però - sistematicamente aggirate approfittando anche di sanzioni irrisorie. Insomma, i pastori si sentono presi in giro. E non c'è cosa peggiore che sollevare un problema serio e non essere ascoltati, protestare ed essere commiserati, o derisi. E' il peccato peggiore che la politica possa commettere.

I pastori, allora, gettano via il latte, protestano con le loro famiglie, la Sardegna orgogliosa scende tutta in piazza, decisa e dignitosa come nemmeno s'immagina,  e mette lenzuola bianche ai balconi. Le elezioni regionali sono dietro l'angolo (lì si vota il 24 febbraio) e forse solo per questo la politica pare voglia impegnarsi per cercare finalmente una soluzione. Resta però mai abrogata la regola che i segnali dai territori che vivono un'esigenza, un disagio, un dramma non vanno mai sottovalutati in tempi di «pace». Perché prima o poi emergono, ritornano, te li trovi sulle strade. Come in questo caso: prima lacrime di latte, poi fiumi bianchi di dolore, di rivolta. Di disprezzo.
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«La politica è l'arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda» (Paul Valéry, Tal quale) Leggi l'articolo completo su
Il Mattino