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La sua “Eutanasia della critica” (Einaudi) rimarrà un testo fondamentale quando si dovranno fare i conti con la supremazia del mercato e la sterilità compiaciuta di questi anni. Mario Lavagetto – assentatosi qualche giorno fa – non era un critico militante e per questo un riferimento per tutti noi, un maestro nel quale ritrovare metodo e sguardo. “Lavorare con piccoli indizi” (Bollati Boringhieri), ne fa un detective e un artigiano della pagina che inseguiva le parole ricorrenti: quelle chiave, i lapsus, le gergalità, i verbi, scavando, tanto che la sua osservazione puntuale ci ha restituito finezze da Boccaccio a Proust a Stendhal che sarebbero andate perdute. Odiava la lettura a una dimensione e non l’ha mai data di niente, cercando di arricchire i grandi testi con analisi e amplificazioni, in una lenta restituzione dei pensieri critici che generavano. Lavagetto s’è smarcato dal gruppone dei segnalatori, degli elargitori di giudizi facili, è stato un critico solitario ed efficace, defilato e puntuale, uscendo dal chiacchiericcio per meglio esplicitare la sua impronta cartesiana.
Il Mattino