Norwegian blues

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Jim Gystad  è un produttore che ha bisogno di recuperare l’essenza della vera musica, e la trova nei fratelli Thorsen: Tamar, Maria e Timoteus. Loro sono il “Buena Vista Social Club” versione norvegese, i Salinger della musica, almeno fino a quando Jim – ospite inatteso – rimette in moto le loro voci e le loro vite. È un grande romanzo, quello di Levi Henriksen, “Norwegian blues” (traduzione di Giovanna Paterniti; Iperborea) che mescola allo spirito dei “Blues Brothers” di John Landis e di “Fratello, dove sei?” dei Coen, i sentimenti de “L’amore ai tempi del colera” nella storia di Timoteus – un personaggio riuscitissimo, burbero come il miglior Clint Eastwood – e Thina Gjems. Henriksen conosce la leggerezza e la allaccia all’ironia, non annoiando mai, riesce a portarci dentro le note di Dio, la natura norvegese e la biografia di tre anziani fratelli che sembrano scale armoniche da combinare. Il suo è uno strano esperimento, dai tempi di “Alta fedeltà” di Nick Hornby non c’era un libro capace di usare così bene la musica. 
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Il Mattino