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Luciano Bianciardi “Poteva fare il trequartista” (Gog) e molti altri ruoli. Poteva inventarsi vite e sprecarle. Scrivere grandissimi libri e sperperarsi, appartenendo ad una aristocrazia letteraria autodistruttiva per troppa ragione, troppa visione, troppa scrittura. Bianciardi si annientò – come Giancarlo Fusco – con l’alcol, cancellandosi come Pasolini aveva scavato nella notte fino a trovare il suo assassino. Ma prima, guardarono al campo e al pallone. Pasolini persino giocando fino agli ultimi suoi giorni, Bianciardi scrivendo grazie a Gianni Brera per il “Guerin sportivo”, con ironia e competenza, fantasia e passione, un po’ irridendo la compostezza del calcio e un po’ addentrandosi alla ricerca del mistero senza fine bello. Rileggendo i suoi pezzi – che tornano in un best-off – riappaiono Riva e Scopigno, Pesaola e Rivera, ma anche Carmelo Bene, Vittorio Gassman e Gino Paoli, in un caos – molto danzante – di verità, finzione e pallone. Dove Bianciardi sembra un calciatore saltato fuori dalle fantastiche partite raccontate da Roberto Fontanarrosa, che pareva un personaggio inventato da Bianciardi.
Il Mattino