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Carmelo Bene diceva che bisogna farsi capolavoro. Roberto Calasso si è fatto sincronicità, secondo la definizione junghiana. Nel giorno della sua morte sono usciti due libri simmetrici: uno dedicato al padre biologico, “Memè Scianca” (Adelphi), soprannome che Calasso si era dato da adolescente – solo quella paginetta di spiegazione vale più di tutti i romanzi candidati allo Strega quest’anno –; e l’altro dedicato al suo padre culturale “Bobi” (Adelphi) Bazlen, «la persona più veloce nel vedere il dettaglio luminoso (Pound)». E i due libri, nel momento della sua morte, diventano una risposta pratica data da Calasso – junghiano e bernhardiano – uno schiaffo a tutti i razionalisti o i “secolarizzati” come li chiamava, ribadendo la sua idea di irrazionalità: immessa con forza nella cultura italiana con la sua casa editrice. Come tutte le cadute nella vita delle opere umane, insegna Borges, a un certo punto si confonde la produzione artistica con la vita stessa e non si sa chi ha determinato l’una e chi l’altra, restano solo la coincidenza e lo stupore, quando c’è l’autentico che Calasso ci mostra con la magia del congedo.
Il Mattino