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Difficile cogliere le umane realtà e il conseguente dolore, come osservava Ortega y Gasset, ancora più difficile è trovare uno scrittore che raccontando il quotidiano delle umane realtà sappia uscire dal consueto, evadendo il diarismo. Le librerie sono piene di vite d’oggi, scrittori e pandemia, scrittrici e figli, storie d’amore da consumarsi preferibilmente entro il, e poi ci sono i piccoli libri, non visti, o peggio non presi, non esposti, o peggio nemmeno richiesti, che contengono una forza che abbatte interi scaffali di inutili giallisti italiani. Gherardo Bortolotti con “Romanzetto estivo” (Tic Edizioni) inanellando una serie di sfighe e de-scrivendole con ironia e dolore riesce ad uscire dal consueto, con una lingua altra, non conforme, e una estetica da Elio Pagliarani. Provando a raccontare una nuova educazione sentimentale, anzi, la riparazione di una serie di perdite sentimentali – una separazione e una morte – con una rinascita – l’incontro con un vecchio amore – e una stella cadente. Tra l’onirico e il cantato, l’immaginato e il reale, Bortolotti, sfiora il mistero della fisica sentimentale e lo restituisce in istanti poetici.
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Il Mattino