Morire di felicità perché un altro ti odia

Palloncini rossi a Torino per ricordare Stefano Leo
«Torino: Stefano ucciso perché era troppo felice»​ (Adn, 1.4.2019 ore 11.06) *** «Sono felice da...

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«Torino: Stefano ucciso perché era troppo felice»​ (Adn, 1.4.2019 ore 11.06)

***

«Sono felice da morire». E' una frase che abbiamo sentito tante volte, magari l'abbiamo anche pronunciata al culmine di una condizione di benessere, quando tutto appare bellissimo, irripetibile, magico. Ma è difficile, davvero troppo, arrivare a pensare che l'essere felici possa portarti alla morte per mano altrui, di una persona che fino a quel momento non ti conosce, non ha alcun motivo di volerti del male, ma decide di ucciderti solo perchè, quando t'incrocia, non sopporta la tua felicità al cospetto - ipse dixit - della sua infelicità.

Sembra assurdo che possa accadere, ma è accaduto, a Torino, ai Murazzi del Po. La vittima si chiamava Stefano Leo, 34 anni, lo scorso febbraio fu accoltellato a morte, un delitto senza un perché. A perdere la vita quest'uomo assolutamente normale, una vita serena, il lavoro, gli amici, i sorrisi, sì i sorrisi veri.

Il campionario delle frasi pronunciate dal 27enne italiano di origine marocchina che ha ucciso Stefano, e che è stato arrestato dopo oltre un mese, fa accapponare la pelle. Il movente viene definito, dal procuratore della Repubblica di Torino, «sconvolgentemente banale». «Volevo ammazzare un ragazzo come me, togliergli tutte le promesse che aveva, dei figli, toglierlo ai suoi amici e parenti», ha raccontato l'assassino agli investigatori. Ha affondato il coltello nella gola di Stefano perché «si presentava con aria felice» e lui non sopportava la sua felicità.  Ed ancora: «Ho aspettato che passasse quello giusto, non so nemmeno io chi aspettavo, poi è passato un ragazzo gli sono andato dietro e l'ho accoltellato».

Un matto, che nel momento in cui viene portato via fa pure il volgare e inutile gesto delle corna? O un invidioso,  rancoroso del "ben essere" altrui, che si tramuta senza pensarci in feroce assassino? Lo stabiliranno le perizie, i giudici. Si vedrà. Ma quanto importa, ora? Il papà della vittima è distrutto: «Il pensiero che Stefano sia morto per uno sguardo, forse per un sorriso che aveva regalato al suo assassino, è inaccettabile. È come se lo avessero ucciso un'altra volta, non riesco a farmene una ragione».

Sarà difficile. Il concetto di felicità è quello che ricerchiamo ogni giorno, ci danniamo se non ci sentiamo sufficientemente tali. E poi, può un matto o un assassino cinico e crudele toglierci, tutte insieme, la felicità e la vita? E' questa consapevolezza che l'esposizione vera e genuina della nostra felicità, stampata in volto, a Torino come a Napoli, o in qualsiasi città del mondo, possa armare la mano di un un pazzo o di un assassino, che rischia di innescare la paura. Quella di essere felici. Eppure, sarebbe un paradosso aver paura della felicità propria o delle persone care perché potresti incrociare un altro che non la sopporta. Ricercarla, in fondo, è nella condizione stessa dell'essere umano. E morire di felicità significa, davvero e sempre, ben altro.
***

«La felicità o non c'è qui in terra, o dura molto poco» (G.Dupré, Ricordi autobiografici)
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Il Mattino