Taccuini del deserto

Taccuini del deserto
I deserti come i buchi neri e i fondali degli oceani contengono molte informazioni nascoste al mondo esterno, proprio come i racconti di Jorge Luis Borges. Su questo ragiona,...

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I deserti come i buchi neri e i fondali degli oceani contengono molte informazioni nascoste al mondo esterno, proprio come i racconti di Jorge Luis Borges. Su questo ragiona, scrive, lima, pensa, connette, elabora con molta profondità Ben Ehrenreich nei suoi “Taccuini del deserto” (Atlantide, traduzione di Michele Trionfera). Un libro multiforme che sembra attraversare le piccole apocalissi che ci toccano e toccheranno con una calma da saggio, derivata proprio dal deserto, dal suo silenzio – apparente – e dai suoi segreti. Ehrenreich è abile a mescolare ricordi e riflessioni complesse, ad evocare vecchia e nuova America, a citare grandi e piccoli autori con le loro storie, senza mai smettere di passare la vastità che lo circonda e che ha generato il libro. Connettendo il cielo e il deserto, il suo è un discorso leopardian-beat, che prende in giro Trump (chiamandolo Rhino, il rinoceronte che sfascia tutto), bordeggia le battaglie ecologiste di Greta, ma conoscendo Jack Kerouac. Il deserto è la scusa per inseguire la riflessione, per uscire dal tempo e poterlo guardare senza ansie, immergendosi nel grande vuoto, che vuoto non è, si vede il grande pieno – occidentale – che pieno non è.   

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Il Mattino