Calabria, l'assessore Talarico condannato a 5 anni di reclusione

Calabria, l'assessore Talarico condannato a 5 anni di reclusione
Cinque anni di reclusione: è la condanna inflitta dal gup di Catanzaro, al termine del rito abbreviato, all'assessore al Bilancio della Regione Calabria Francesco...

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Cinque anni di reclusione: è la condanna inflitta dal gup di Catanzaro, al termine del rito abbreviato, all'assessore al Bilancio della Regione Calabria Francesco «Franco» Talarico, formalmente ancora in carica, anche se in prorogatio, vista la mancata proclamazione degli eletti alle elezioni del 3 e 4 ottobre scorsi. Talarico, un passato nella Democrazia cristiana e poi confluito nell'Udc di cui è stato segretario regionale fino al momento dell'arresto ai domiciliari, nel gennaio scorso - poi revocati -, nel corso della sua carriera è stato anche presidente del Consiglio regionale della Calabria. È stato condannato per scambio elettorale politico mafioso nell'ambito dell'inchiesta coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri denominata Basso profilo.

Un'indagine - condotta dalla Dia - incentrata su presunti rapporti illeciti tra le cosche di 'ndrangheta del crotonese e imprenditori ed esponenti politici e della pubblica amministrazione. Talarico è stato assolto, invece, dall'accusa di associazione per delinquere semplice aggravata dal metodo mafioso. Nell'ambito dello stesso processo, il gup, tra l'altro, ha assolto Luciano Basile, amministratore delegato di Sicurtransport spa, società di vigilanza privata, il notaio di Catanzaro Rocco Guglielmo (accusato di falso ideologico) e Rodolfo La Bernarda.

Nell'inchiesta è rimasto coinvolto anche il segretario nazionale dell'Udc Lorenzo Cesa, ma dopo che la Dda catanzarese gli ha fatto notificare un avviso di conclusione indagini, non ne ha poi chiesto il rinvio a giudizio. Talarico, secondo l'accusa, come candidato alle elezioni politiche del 2018 nel collegio di Reggio Calabria - ottenne un buon risultato pur senza raggiungere l'elezione - avrebbe offerto il suo appoggio, «in cambio di un consistente pacchetto di voti, per introdurre Gallo in ambienti politico-istituzionali nazionali». Antonio Gallo, ritenuto dall'accusa l'imprenditore di riferimento dei clan del Crotonese, detto il «principino» è il personaggio attorno a cui ruota l'inchiesta.

Un imprenditore - «molto eclettico ed un filo spregiudicato» lo definì all'epoca dell'operazione Gratteri - che per l'accusa avrebbe intrattenuto rapporti con cosche, politici e esponenti infedeli delle forze dell'ordine al solo scopo di allargare i propri interessi nel settore della sicurezza sul lavoro. Ed è - secondo l'accusa - ad alcuni referenti reggini di Gallo che Talarico si sarebbe rivolto in occasione delle politiche del 2018, consapevole, secondo la Dda, di rivolgersi proprio a personaggi in odore di mafia. Tra questi Natale Errigo (anch'egli coinvolto nell'inchiesta, ndr) imparentato con esponenti della cosca De Stefano-Tegano del quartiere Archi di Reggio Calabria.

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Il Mattino