Già varie inchieste del passato nella Piana di Gioia Tauro ci hanno consegnato cronache su masse di calabresi intenzionate a raggirare l’Istituto nazionale di...
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Sotto la “lente” dei carabinieri è finita l’attività di 31 aziende agricole da sei anni a questa parte. Ineffabile la conclusione: quasi 1.500 rapporti di lavoro erano del tutto fasulli, messi in piedi solamente per drenare illecitamente fiumi di denaro in termini di fondi comunitari e soprattutto, in questo specifico caso, di prestazioni assistenziali e previdenziali non dovute.
Centinaia e centinaia di agricoltori “fantasma” avevano un duro lavoro da svolgere, ma solo sulla carta: quelli indicati come vigneti e uliveti ai fini delle provvidenze da spolpare in realtà erano terreni brulli e abbandonati; molti “teorici” braccianti in realtà davanti alle domande dei militari hanno dimostrato di non conoscere neppure il posizionamento di terreni sui quali stando agli incartamenti, evidentemente falsificati, avrebbero lavorato per lunghi anni; operai si sarebbero destreggiati tra pampini e grappoli spalla a spalla con decine di colleghi dei quali però, chissà perché, neanche ricordano il nome di battesimo.
Il tutto, ben condito da un’incresciosa, sistematica carenza di documentazione sulle effettive attività svolte dalle imprese oggetto del monitoraggio dell’Arma, costato due anni di verifiche sul campo, riscontri incrociati tra le "carte" e le dichiarazioni dei diretti interessati, vaglio certosino degli incartamenti.
Tra le persone indagate dalla Procura della Repubblica di Locri ci sono peraltro anche diversi “pesci piccoli” della ‘ndrangheta: le fasi successive dell’inchiesta tenteranno di mettere in chiaro quale portata abbiano avuto i condizionamenti della criminalità organizzata locale rispetto all’intera vicenda. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino