«Bimbi-Paperoni» scudo dei clan: così nascondono i capitali illeciti

«Bimbi-Paperoni» scudo dei clan: così nascondono i capitali illeciti
Hanno dai due ai tredici anni i nuovi «prestanome» dei clan. Inconsapevoli, ovviamente di possedere, nonostante la tenera età, una vera e propria fortuna. Conti...

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Hanno dai due ai tredici anni i nuovi «prestanome» dei clan. Inconsapevoli, ovviamente di possedere, nonostante la tenera età, una vera e propria fortuna. Conti correnti e depositi di soldi intestati ai minorenni.


I «bambini-Paperoni» sono il retroscena dell’indagine sfociata ieri in un maxisequestro a San Felice a Cancello ai danni di una famigla di imprenditori ritenuta collegata alla mala. In questo modo infatti, secondo l’accusa, i Massaro, tentavano di nascondere allo Stato un patrimonio messo insieme grazie all’usura.

È quanto emerge dall’indagine a monte del maxisequestro di un patrimono da tre milioni di euro eseguito ieri. «Servendosi» di bambini, dunque, hanno creduto di poter sfuggire ai controlli e scampare alle misure patrimoniali. Lo stratagemma però è stato scoperto. La guardia di finanza della compagnia di Marcianise, guidata dal capitano Davide Giangiorgi, ha ricostruito dieci di anni di spostamenti finanziari, cambi societari, intestazioni, vendite e cessioni di beni e società. Ieri, su delega dei procuratori aggiunti di Napoli Rosa Volpe e Francesco Raffaele, le fiamme gialle hanno condotto l’indagine sfociata nei sigilli disposti dalla sezione misure preventive del tribunale di Napoli a beni per tre milioni di euro riconducibili a Michele Pesce e ad alcuni dei suoi familiari.

Si tratta dello sviluppo di un’indagine sull’usura e sul clan Massaro-Di Paolo condotta dalla procura di Santa Maria Capua Vetere diretta dal procuratore Maria Antonietta Troncone, in un’indagine affidata all’aggiunto Antonio D’Amato che aveva già portato ai provvedimenti che hanno colpito la «Tony Fur» atelier di moda finito sotto sequestro un anno fa. 

Tornando a Pesce, ieri ha subito il sequestro preventivo di beni che includono il bar Royal, a San Felice a Cancello, ma anche di undicimila ettari di terreni in frutteti e fondi agricoli nello stesso comune, di quote societarie di due aziende. Sequestrati anche due diamanti purissimi, custoditi ai fini di investimento, presso una società di Roma.


L’indagine si è concentrata sull’aggressione ai patrimoni e si è basata sulle comparazioni tra i redditi dichiarati e i beni effettivamente posseduti dai tredici indagati. I sigilli sono scattati per la megavilla dei Pesce, dieci vani di extralusso, oltre che per sei immobili, rapporti finanziari per un milione e 150mila euro e cinque autovetture. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino