Vittime sì, ma non troppo. Imprenditori perseguitati dalla camorra, ma non al punto da riferirlo ai giudici. Hanno forse ragionato in questo modo i due testimoni del...
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«Capisco il timore e dico che non è necessaria la rogatoria per Burgagni, ma almeno per la Schergolera propongo l’accompagnamento coatto in aula, con la scorta e le dovute cautele». Oltre ai pentiti, è necessario un riscontro concreto, una voce «esterna» al coro dei collaboratori di giustizia.
Il processo si compone anche di documenti e di deposizioni che parlano di denaro e affari illeciti ai piedi del monte Titano. San Marino utilizzata a mo’ di lavatrice da Carmine Schiavone, figlio del boss Francesco Schiavone «Sandokan». Era stato quest’ultimo, il secondogenito del «padrino» al 41bis, per gli inquirenti, ad avere l’idea di trasferire il contante in ciò che era considerato, fino a poco tempo fa, il piccolo «paradiso fiscale» incastonato sull’Appennino tosco-romagnolo. Non a caso, fra gli imputati compare Sigismondo Di Puorto «braccio» imprenditoriale in Emilia Romagna della camorra, ma anche Ferdinando Raia. È, dunque, necessaria una dose di coraggio. Anche se non c’è.
E così, la russa ex consorte dell’imprenditore, dovrà presentarsi davanti ai giudici del tribunale la prossima settimana. A lei sarà chiesto di additare professionisti sammarinesi e referenti del clan dei Casalesi e della camorra di Acerra che sul Titano avrebbero investito milioni per poi tentare di uscirne quando le cose si erano poi messe male. Già, perché sul secondo filone d’inchiesta sulle «sospette» operazioni edilizie e la provenienza dei capitali, le dichiarazioni del pentito Salvatore Venosa hanno ampiamente svelato il «sistema» di riutilizzo del denaro. Il «canale» di reimpiego grazie a società di capitali nello stato di San Marino doveva confluire nella creazione di una struttura satellite operativa nelle Marche ed in Emilia Romagna per la gestione degli affari illeciti. Tutto veniva investito nel mattone in queste due regioni.
Sul banco del pm, una serie di accuse per riciclaggio di denaro sporco ed estorsioni; nella lista degli indagati, era spuntato certo il nome di Schiavone jr, ma anche quello di Franco Agostinelli, considerato dalla Procura un «carneade» del riciclaggio, l’uomo che si sarebbe attivato per «radicare» il clan dei Casalesi tra la Repubblica di San Marino e la riviera Romagnola, tra Riccione e Rimini. Agostinelli si è sempre difeso spiegando che nei confronti dei testimoni c’era solo un recupero crediti. Il teste Burgagni aveva capito male, dunque, quelle presunte intimidazioni? Era stato proprio lui che, armato di coraggio, aveva riferito ai carabinieri: «Le minacce le ho intese come ‘dovunque vai ti troviamo’ - aveva spiegato - le pistole, le minacce ai figli…un padre e una madre si preoccupano: non so se fosse una bugia o realtà. Per noi era una realtà». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino