Casalesi, sgominato il nuovo clan: raffiche di mitra in onore del boss

Casalesi, sgominato il nuovo clan: raffiche di mitra in onore del boss
Il fucile tenuto a due mani, la canna verso il cielo, gli spari: una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte. La raffica illumina la notte. Dai palazzi circostanti nessuno...

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Il fucile tenuto a due mani, la canna verso il cielo, gli spari: una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette volte. La raffica illumina la notte. Dai palazzi circostanti nessuno osa affacciarsi. Sono i primi di gennaio del 2021 quando a San Marcellino, comune alle porte di Aversa e regno del luogotenente dei Casalesi Oreste Reccia, tornato a piede libero da qualche mese, i suoi uomini salutano a modo loro il ritorno in campo di colui che, secondo il pentito Salvatore Venosa, è «il reggente» della cosca dei Casalesi. Un grado acquisito col silenzio di lunghi anni di carcere. Reccia, mentre si pentiva nel 2013 il suo capo, Antonio Iovine o ninno, del quale era uomo di fiducia, ha resistito alle lusinghe di una scorciatoia che lo Stato pure gli avrà offerto ed è rimasto in cella a scontare la sua pena. Dieci anni di galera non passano in fretta, ma sono meno lunghi se davanti c'è la prospettiva di uscire da «capo». E quando è tornato a casa, Reccia ha assunto i gradi, tanto da spartirsi con un altro pezzo da novanta a sua volta scarcerato in quel periodo, Vincenzo Ucciero, un territorio foriero di incassi in termini di pizzo. Ma per riaffermarsi, per farsi sentire, non solo ha messo insieme una squadra di vecchi gregari e di giovani leve, ha anche fatto in modo che la gente avesse ben chiaro che se qualcuno si fosse ribellato, sarebbero stati guai.

Lo provano i video trovati sui cellulari degli indagati. Ce ne sono tre. In uno, nel cortile di un palazzo disabitato in cui il gruppo teneva i propri summit, tre giovani sparano a raffica nel silenzio di un paese che non dorme, ma si finge dormiente perché, la storia insegna, mettersi contro certa gente, in certe zone, è rischioso assai. E qualche giorno dopo la sventagliata di fucilate verso il cielo, un altro sgherro si arma e apre il fuoco. Questa volta nel video si vede un'arma corta, una pistola, parte un colpo, poi il revolver s'inceppa. Ancora, sempre a gennaio, un terzo soggetto imbraccia un fucile e fa fuoco una dozzina di volte. La canna è puntata ad altezza d'uomo. Quei filmati non sono finiti su tiktok, a Casal di Principe e dintorni si fa alla vecchia maniera. Niente social, qui conta la sostanza, contano i gesti concreti. Ma nelle schiere ai comandi di Reccia ci sono anche dei giovanissimi. Che non hanno resistito alla tentazione di filmare le proprie gesta e poi scambiarsi, via chat, i video ora agli atti d'inchiesta.

Naturalmente il possesso delle armi, tra le quali un kalashnikov sequestrato nel maggio scorso, è solo una parte dell'inchiesta condotta dalla Procura di Napoli diretta da Giovanni Melillo. Le indagini sono state coordinate dall'aggiunto Rosa Volpe e dai sostituti procuratori Maurizio Giordano, Graziella Arlomede e Francesco Raffaele e delegate alla squadra mobile di Caserta, diretta da Davide Corazzini, e ai carabinieri del comando provinciale guidato dal colonnello Patrizio La Spada. Coprono cinque mesi di attività del nuovo gruppo, dal novembre 2020 al maggio 2021; la richiesta di misura cautelare è stata accolta in tempi rapidissimi dal gip. Urgenza dettata dalla pericolosità di un gruppo che, in pochi mesi, dopo la scarcerazione di Ucciero e Reccia, è riuscito a piegare alla logica del pizzo commercianti e negozianti dell'area aversano-giuglianese e a riprendere il controllo dei comuni di Aversa, San Marcellino, Villa Literno e ad allungare le mani su Giugliano. In manette, oltre ai due presunti capi e promotori del rinato sodalizio, Reccia e Ucciero, e al figlio di quest'ultimo, Antonio, sono finiti Gianluca Alemanni, Luciano Carpiniello, Emilio Mazzarella, Marco e Remigio Testa, Giuseppe Muto, Mariano Vitolo, Raffaele Granata e Vincenzo Arrichiello. Agli indagati vengono contestati, a vario titolo, i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, sei episodi di estorsione aggravata dall'articolo 7, la detenzione di armi da guerra. Inutile indugiare sul silenzio delle vittime che hanno scampato la tassa di Ferragosto del pizzo dopo aver pagato quelle di Natale e Pasqua grazie all'intervento delle forze dell'ordine, ma si sono guardate bene dal denunciare. Solo alcuni di loro, di fronte all'evidenza, hanno ammesso di aver pagato le estorsioni. Due vittime hanno anche subito violenti pestaggi, ma neanche questo li ha convinti a confidare nello Stato, per paura di conseguenze ancora peggiori.

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Il Mattino