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Dieci persone, ritenute appartenenti alla fazione Schiavone del clan camorristico dei Casalesi, sono state arrestate dai carabinieri di Santa Maria Capua Vetere in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Napoli su richiesta della Direzione distrettuale antimafia partenopea.
Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsioni, detenzioni e porto d'armi, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Secondo quanto emerso dalle indagini, avrebbero imposto il pizzo a numerosi esercizi commerciali.
Nel corso delle indagini, partite nel 2013 e concluse a settembre 2014, i carabinieri hanno ricomposto una sorta di «Pagine Gialle» dell'estorsione sequestrando, in più occasioni, documentazione varia sulla quale gli estorsori hanno annotato, complessivamente, i dati relativi a circa 350 esercizi commerciali del Casertano ritenuti verosimilmente dagli inquirenti vittime delle richieste di pizzo. Le misure cautelari, 7 in carcere e 3 ai domiciliari, sono state emesse dal gip del tribunale di Napoli su richiesta Procura Antimafia partenopea.
Il meccanismo estorsivo utilizzato dal gruppo della fazione Schiavone del clan dei Casalesi, secondo gli inquirenti, è lo stesso usato per imporre gadget pubblicitari a negozianti dal gruppo guidato da Emanuele Libero Schiavone (uno dei figli dell'ex boss Francesco Schiavone), arrestato nell'aprile del 2012 e poi condannato.
Tra i destinatari degli arresti figura anche Omar Schiavone, 26 anni, nipote di «Sandokan». I carabinieri hanno individuato e sequestrato, nell'agenzia pubblicitaria ADV Service di San Marcellino (Caserta), riconducibile a uno degli arrestati, Raffaele Biondino, detto Lello, alcune liste manoscritte con i nomi di circa 300 commercianti che hanno consentito agli inquirenti di ricostruire l'entità dell'attività estorsiva. I quantitativi di gadget imposti alle vittime venivano convogliati proprio nella ADV Service. A coordinare l'attività illecita era Romolo Del Villano, dal carcere, attraverso ordini impartiti al figlio Giuseppe, detto «Romolino» (anche lui tra gli arrestati).
Gli investigatori hanno individuato le cosiddette «nuove leve» del clan, che gestivano il pizzo tra Grazzanise e i comuni limitrofi tenendosi in contatto con gli affiliati più esperti in carcere.
Il Mattino