Casalesi, la ferita di Saviano: «Vivere sotto scorta? Inferno mai chiesto»

Casalesi, la ferita di Saviano: «Vivere sotto scorta? Inferno mai chiesto»
«Quell'elenco di nomi, in cui venivano additati anche 'pseudogiornalistì sembrò un elenco funesto a tutti i nominati, non solo a me. Il messaggio...

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«Quell'elenco di nomi, in cui venivano additati anche 'pseudogiornalistì sembrò un elenco funesto a tutti i nominati, non solo a me. Il messaggio intimidatorio per me erano i nomi alla fine del documento, la firma dei due boss, Bidognetti e Iovine. Un messaggio con una scelta precisa: indicare i responsabili della loro condanna». È quanto affermato dallo scrittore Roberto Saviano, sentito oggi a Roma nel corso del processo al boss dei Casalesi, Francesco Bidognetti e agli avvocati Michele Santonastaso e Carmine D'Aniello, imputati per minacce aggravate dal metodo mafioso in relazione a quanto affermato nel corso del processo «Spartacus» a Napoli nel 2008. Gli imputati presero di mira anche la giornalista Rosaria Capacchione.

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Nel corso dell'udienza, davanti ai giudici della quarta sezione collegiale, Saviano, che vive sotto scorta da anni, ha aggiunto che « parlare dei Casalesi fu come accendere un faro su un animale abituato a vivere al buio, prima di Gomorra il clan raramente finiva nelle cronache». Nel procedimento si è costituta parte civile la Federazione Nazionale della Stampa, rappresentata in aula dall'avvocato Giulio Vasaturo. In aula presente il presidente Beppe Giulietti. Saviano ha ricordato un episodio avvenuto nel 2006 a Casal di Principe. «Venni invitato a parlare e dal palco feci i nomi dei boss Zagaria e Schiavone e rivolgendomi a loro dissi 'non siete di queste terre, siete assassinì. In piazza scese il silenzio. La scorta di Fausto Bertinotti, che era presente quella sera, mi disse 'tu non te ne vai senza di noì. Da quel momento iniziarono le minacce, come i volantini col mio volto e una pistola puntata alla tempia con la scritta 'condannatò. Decisero di darmi una protezione, da allora sono 15 anni che vivo sotto scorta». Parlando del processo, l'autore di Gomorra ha concluso: «non credo che una sentenza possa ripagarmi per tutto questo, è quasi una non vita. Si è fatta una battaglia politica sulla mia scorta ma vivere sotto scorta è un dramma, un inferno che io non ho mai chiesto». 

 

 

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Il Mattino