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Reportage di una rivisitazione in un triangolo della città per il quale ripetute sono state le segnalazioni di degrado, di sollecitazioni di interventi di risanamento di un pessimo biglietto da visita che ci rappresenta ai forestieri che escono dalla Reggia che è a un passo. In questo triangolo non sono mai passati amministratori comunali da un trentennio a questa parte e lo dimostrano le condizioni oscenamente decadenti in cui questo pezzo di Caserta si trova. Una occasione per gli amministratori di oggi ad adoperarsi per rimediare.
Questo triangolo è caratterizzato da alcuni anni dal fenomeno della «movida», vita notturna di gioventù rumorosa che è dannazione per i residenti. «Movimiento» notturno nei fine settimana, deserto diurno nelle restanti quattro giornate. Sabato mattina, quindi, poche persone in giro, due trattorie aperte mentre le paninerie, i pub, le birrerie, le vinerie affilavano le armi per la serata. Il reportage dallo slargo che si apre a sinistra di via Gasparri, a destra i Giardini Flora e la Reggia, al lato opposto il bivio costituito dalla confluenza di via Ferrante con via Mazzocchi, di fronte il segmento di via Mazzini che va fino a via Maielli, in questo triangolo è racchiusa la prima Caserta, quella della pianura che si andava sviluppando intorno al «real cantiere» doveva diventare la Reggia. Questo il centro storico che racchiude tracce di un paio di secoli di storia casertana, un triangolo che vergognosamente la città offre ai forestieri che vi transitano.
E annotano due stradine di basolato lavico sconnesso, bozzi e avvallamenti, lastroni di inciampo.
Ancora tanta storia può uscire da questo edificio dalla facciata erosa dalla umidità e dalle erbacce, abbandonata dalla indifferenza. Sabato di tarda mattinata, una coppia di turisti scatta fotografie, chissà cosa pensano. Il cronista se lo chiede con Lello Mercaldo, un ricercatore della città-retrò, un archeologo dei ricordi, è l'autore di una iniziativa originale, due album di figurine che sono immagini della Caserta del 1900 al 1940 e dal 1950 al 2000. Incrociamo, come lame di fioretto, sguardi di sconforto. Osserva: «Questo triangolo di nefandezze andrebbe risanato, è trascorso tanto di quel tempo che a riproporre iniziative si rischia di ammettere di essere fuori tempo, tutto cristallizzato in uno sgarrupo cui soltanto i sognatori sperano di rimediare. Ma perché non tentare?». Vengono snocciolati: la possibilità di invogliare aperture di negozietti di souvenir che non siano gadget altoatesini; laboratori artigianali di ceramica, non certo fabbriche decise dai Borbone in via San Carlo, ma almeno per qualche marmetta-campione; piccole biblioteche anche visive, per proiettare documentari di un passato illustre, oggi purtroppo appannato se non cancellato.
Davanti al numero civico 26 c'è un palazzotto vuoto e decrepito, di fronte la dimostrazione di un recupero ben fatto, il Palazzo Angelino, poi il minuscolo Vico Solfanelli (targa toponomastica sparita, che fine ha fatto?) col palazzo dove nacque, visse e morì il musicista Costantino Parravano (1841-1905), appresso Viella Salomone con il basso noto come «la casa di Sant'Anna» ove due sorelle nubili custodirono la statua della compatrona. Mercaldo: «Quante cose si potrebbero far conoscere, orecchie sorde, disamore per la città. Se intorno a questo triangolo ci fosse una cancellata ci si dovrebbe affiggere un cartello: chiuso per sciatteria».
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