Caserta, i reduci del mercato tra servizi negati e crisi megastore

Caserta, i reduci del mercato tra servizi negati e crisi megastore
Le 6.30 di sabato, la grande area del mercato di via Ruta, una spianata di cemento con al centro un fabbricato per il mai attivato drive-In, comincia ad animarsi, arrivano i primi...

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Le 6.30 di sabato, la grande area del mercato di via Ruta, una spianata di cemento con al centro un fabbricato per il mai attivato drive-In, comincia ad animarsi, arrivano i primi furgoni, vanno a sistemarsi come tessere di puzzle. I banchi di frutta già squillano di colori dei prodotti di stagione.

 
Procede la composizione del puzzle, sorprende l'abilità degli autisti sopravvenuti a incasellarsi ai margini degli stalli, poi rapidamente si aprono grossi ombrelloni, tendoni che vanno a combaciare con i vicini, i commercianti si lanciano funi come sartie dei marinai della Vespucci, si danno la voce, aprono la giornata in allegria, la mattinata è buona per il mercato, tempo coperto, venticello e si soffrirà meno il caldo. Poco più di mezz'ora e il mare di cemento è per poco più della metà coperto di banchi, circa 220, da qualche anno vanno scemando. «La crisi ci sta mangiando tutti dice Clemente, 45 anni, casertano oggi abitante a Santa Maria a Vico, moglie e due figli, commercia in abiti usati, mercatale da quando di anni ne aveva quindici, sei giorni su sette alle 5 è già in viaggio per i mercati del Casertano, del Beneventano e dell'Avellinese.

«Alla fine della giornata è tanto se si riesce a mettere su il necessario per mantenere la famiglia, il resto tutto in spese, subito la tassa per l'occupazione del posto, carburante e poi le imposte. I grandi centri commerciali, quelli cui avremmo dovuto fare concorrenza noi, ci strangolano». Al mercato persone anziane e pensionati, i giovani vanno nelle grandi strutture, stanno al fresco e al coperto, mangiano la pizza e fanno spese. «Qui, da noi, vengono coloro che tengono d'occhio l'euro da spendere». Clemente è uno «spuntista», non è abbonato ma occasionale, paga la tassa di occupazione di volta in volta.

«La tassa dobbiamo pagarla agli uffici annonari del Comune, a Falciano, all'altro capo di questa zona, magari siamo in parecchi e si perde tempo e siamo sempre ritardatari».

Ovviamente ci si chiede: ma non si potrebbe istituire un ufficio con un paio di addetti comunali a espletare queste operazioni? Alzata di spalle di Clemente che con i suoi colleghi continua a chiederselo e mai avrà risposta. Uno sguardo circolare, il mercato è ora veramente tale, vociante e brulicante, ogni banchetto di vendita, qualunque sia il genere, è un palcoscenico, intreccio di battute tra venditori e clientela, venditori da un banco all'altro si accaniscono in quella che vorrebbe sembrare concorrenza feroce, motti simpaticamente discreditanti e invece sono soltanto spot pubblicitari che fanno reciprocamente bene. Il test lo conduciamo fino alle 9, la maggioranza degli avventori è femminile, arrembaggio ai banchi di abbigliamento, intimo e casalinghi, ragazze accompagnano mamme e nonne, ai banchi dei cosmetici sanno scegliere e tirare sul prezzo. Tanta clientela ai banchi di frutta e verdura, c'è Michele di Maddaloni che è un computer, sceglie, pesa e sconta, i peperoni a punta li chiama cornetti e dice che sono meglio di quelli col cappuccino. Ridono le clienti, per tutte il fascetto degli «odori», basilico, altro che Chanel. C'è un capanno di tela ai margini di un autocarro che è tutto un cinguettìo e squittìo, Pasquale viene da Napoli a Caserta da oltre venti anni, prosegue l'attività del padre e del nonno. «Questo è un commercio che non puoi abbandonare dice finisce con l'affezionarti a tutti gli animali, io lavoro prima, durante e dopo lo stazionamento al mercato. Tutti gli uccelli, i conigli, i porcellini d'India, le tartarughe vanno puliti, alimentati e curati, non sono capi d'abbigliamento da stivare». I difetti di questo mercato? «Non c'è organizzazione né sorveglianza dice facciamo tutto da noi. Ma il difetto più grande è quello».


Indica uno spiazzo recitato, il cartello lo segnala come «isola ecologica», un olezzo stomachevole, due stanzoni, water e lavandini lerci e traballanti, sono i servizi igienici. «Chi come noi sta in giro dall'alba dice un commerciante che vi è diretto non ne può fare a meno. Ma è vergognoso trattarci così». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino