Il «vecchio guappo» che a 81 anni guidava gli assalti armati in villa

Il «vecchio guappo» che a 81 anni guidava gli assalti armati in villa
Ottantuno anni, ma non li dimostra. O, perlomeno, non li «sente». D’altronde l’anagrafe non conta niente se, nella testa, ci si mantiene giovani. E il...

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Ottantuno anni, ma non li dimostra. O, perlomeno, non li «sente». D’altronde l’anagrafe non conta niente se, nella testa, ci si mantiene giovani. E il protagonista dell’ultima inchiesta della Procura di Napoli Nord, evidentemente, si sente un ragazzo. Giovane abbastanza da vivere come in un film d’azione, nonostante sia nato nel ’40. Lo si desume dalle sue «avventurose» gesta, assalti in villa in stile arancia meccanica. Ma non approfondire ogni aspetto delle contestazioni che da ieri tengono ai domiciliari - vista la veneranda età ché per il gip, sì, vale quella anagrafica - Vincenzo Sansone sarebbe riduttivo. L’arzillo nonnino del crimine avrebbe, insieme a quattro giovani complici, messo a segno una rapina in villa, tentato un sequestro di persona a scopo di riscatto e, per compiere tali mirabili azioni, si sarebbe finto militare della guardia di finanza. Quando, all’indomani del rapimento andato a monte, i primi tre componenti della banda furono arrestati, Sansone, per gli amici «zì Vecienzo», si è premurato di mantenere economicamente i carcerati. Come un clan, insomma. D’altronde, nella sua lunghissima vita anche di camorra lo hanno accusato. Era il lontano 1992 quando incappò in una retata che portò all’arresto di 20 affiliati al clan oplontino dei Limelli-Vangone. Furono accusati di avere imposto il lutto ai negozianti di Torre Annunziata in seguito alla morte di un narcotrafficante. Storie da vecchi guappi.


 
Ma torniamo a fatti recenti, datati settembre 2019, ovvero a quando Sansone, insieme a Francesco Terrin (43enne del piano Napoli di Boscoreale, arrestato con lui ieri) e a Vincenzo Gigante, Ruggiero Catapano, dei Quartieri Spagnoli di Napoli, e Raffaele Vitiello, di Torre Annunziata (i tre bloccati in autunno, subito dopo l’ultimo colpo) hanno preso in ostaggio una famiglia di Teverola dopo avere indotto il padrone di casa ad aprire la porta. Come? Non armi sguainate, troppa volgarità, ma fini travestimenti. I quattro indossavano le pettorine della guardia di finanza e, rassicurati proprio da quelle divise delle fiamme gialle, i malcapitati spalancarono la porta ai loro aguzzini. Fu l’inizio di un incubo. Marito e moglie furono legati e imbavagliati con nastro adesivo. I ladri razziarono soldi e gioielli. Poi avvisarono il padrone di casa: «Portiamo via tua moglie, facci trovare 100mila euro tra due giorni». Per motivi tutt’ora poco chiari, poi non rapirono la donna, ma minacciarono: «Se non ci paghi, torniamo e la portiamo via». E il commercialista, una volta che il commando fu andato via, denunciò tutto. Il 14 settembre - data fissata per lo «scambio» - la zona circostante l’abitazione delle vittime fu circondata da auto civette e carabinieri in borghese. I banditi che si presentarono per incassare il denaro furono subito arrestati dai carabinieri della compagnia di Aversa, diretti dal capitano Stefano Russo. Gli stessi militari che ieri hanno catturato gli ultimi due rapinatori.
 

La ricostruzione di quei trenta minuti di orrore emerge dalle parole della vittima, un facoltoso commercialista di Teverola. Qualche ora dopo l’assalto, era il 12 settembre del 2019, l’uomo prese il coraggio a due mani e si presentò dai carabinieri. «Alle sei del mattino hanno bussato alla porta quattro persone che indossavano casacche della guardia di finanza - si legge nella denuncia - una volta in casa, hanno detto che dovevano fare una perquisizione, ma poi uno di loro mi ha puntato contro una pistola, credo una 7,65, e mi ha detto di aprire la cassaforte. Siamo scesi al piano interrato, dove c’è il caveau, ma una volta lì mia moglie ha detto che le chiavi le avevamo dimenticate in Sardegna. A quel punto, i rapinatori si sono innervositi e uno di loro ha messo una mano sulla bocca di mia moglie e l’ha graffiata. Siamo risaliti al piano superiore, con i tre che insistevano per avere le chiavi. Hanno detto “ci portiamo via tua moglie, lunedì mattina facci trovare 100mila euro e non andare alla polizia, sappiamo tutto di te”». Qualche minuto dopo, però, arraffato quanto c’era in giro, i finti finanzieri cambiarono idea. «Non so per quale motivo, ma ci hanno legati e imbavagliati e sono andati via ripetendomi che sarebbero tornati dopo due giorni, alle 10, e che mi avrebbero contattato telefonicamente per organizzare la consegna dei soldi». Grazie alle denuncia, i carabinieri riuscirono a identificare uno dei componenti del gruppo il pomeriggio stesso della rapina. Le telecamere della zona ripresero la Fiat Grande Punto a bordo della quale la banda era arrivata. Il lunedì seguente furono fermati i primi tre rapinatori. Che, una volta in carcere, sono stati intercettati: in questo modo si è arrivati all’anziano bandito, Sansone, «zì Vecienzo», del quale gli indagati parlano come di colui che si stava adoperando per far arrivare la mesata a loro, «i carcerati», e di Terrin. Il cerchio si è chiuso. Per tutti le accuse sono di sequestro di persona, rapina aggravata e tentata estorsione. Alcuni degli indagati sono difesi dall’avvocato Francesco Schettino.
 

 

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Il Mattino