CASERTA - In principio c’era la «Sogest srl» con sede a Roma, l’impresa incaricata di eseguire i lavori per la costruzione del Polo calzaturiero nella...
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In effetti, il clan dei Casalesi dal 2000 in poi aveva cambiato pelle diventando meno violenta, ma senza mutare strategia. L camorra era riuscita ad avvicinare tutte le ditte, quelle sane e quelle no, che erano entrate a pieno titolo nel settore. In fila, una ad una, versavano una quota all’anno ai due boss latitanti Michele Zagaria di Casapesenna e Antonio Iovine da San Cipriano d’Aversa. La somma annuale era pari a 160.000 euro. E la storia è andata avanti almeno fino al 2010.
Stando alle indagini della Procura Antimafia di Napoli, pm Catello Maresca, a riscuotere le somme erano gli affiliati-cassieri Ernesto e Augusto De Luca di San Cipriano d’Aversa per Iovine; Bruno Lanza, oggi collaboratore di giustizia, Biagio Diana e Salvatore Verde detto «Tore a’bestia» per Zagaria. Gli imprenditori, «stritolati» dal sistema, non sono riusciti mai a denunciare i fatti, «schiacciati» com’erano da vertenze interne alle fabbriche, produzione che non decollava e il fisco, pressante. Sei anni dopo l’arresto del boss Iovine, si è scoperto tutto grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e alle primissime dichiarazioni di Luciano Licenza, l’imprenditore dell’inchiesta «Medea» che tre anni fa aveva iniziato a spiegare agli inquirenti il meccanismo del pizzo a scadenza annuale applicato da Zagaria e Iovine.
Gli indagati
Nella stessa indagine, eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Caserta, risultano indagati anche due ex presidenti del consorzio di imprese del Polo, con un terzo imprenditore: si tratta di Raffaele Andreozzi, Carlo Benigno e Giuseppe Chianese, ritenuti però dal giudice Franco delle vittime del clan dei Casalesi.
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Il Mattino