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Il mandante dell'omicidio di don Peppe Diana - il parroco anticamorra di Casal di Principe ucciso nel 1994 mentre si preparava a dire messa - è stato scarcerato, perché in gravi condizioni di salute. Nunzio De Falco, 71 anni, condannato a due ergastoli, era detenuto nel carcere di massima sicurezza di Sassari ma il tribunale di sorveglianza ne ha autorizzato il rientro a casa, a Villa Literno, nel Casertano.
Della vicenda parla oggi il quotidiano La Repubblica, riferendo anche la reazione di Marisa Diana, la sorella di don Peppe: «Per quello che ha fatto, quell'uomo avrebbe dovuto morire in carcere. Io non ho potuto abbracciare mio fratello negli ultimi istanti, don Peppe non è morto circondato dall'affetto dei propri cari. Dunque nemmeno chi è stato condannato come mandante del suo omicidio dovrebbe avere questa possibilità».
«Probabilmente mio fratello, da prete, avrebbe perdonato, ma io non sono un prete e non perdono un assassino come Nunzio De Falco. Doveva morire da solo in cella, come accadde a mio fratello» dice all'ANSA Emilio Diana, fratello del sacerdote ucciso nella parrocchia di San Nicola di Bari di Casal di Principe mentre si apprestava a dire messa. Un fulmine a ciel sereno per la famiglia del don Peppe. «Non ce l'aspettavamo - dice Emilio Diana - anche perchè ritengo sarebbe stato più giusto che un assassino come De Falco morisse in carcere.
«La notizia degli arresti domiciliari concessi a Nunzio De Falco, mandante di omicidi tra cui quello di don Giuseppe Diana, per quanto possa rientrare nelle misure di legge, resta per noi molto sconcertante». Così in una nota il Comitato don Peppe Diana, nato dopo la morte del sacerdote e che da anni si occupa di gestire e valorizzare beni confiscati alla camorra. «La decisione dei giudici - prosegue il comunicato firmato dal coordinatore del Comitato Salvatore Cuoci - ritorna come ingiustizia dinanzi alla memoria di don Diana e di tutte le vittime innocenti di camorra. Soprattutto perché non c'è stata nessuna confessione, alcun pentimento, né richiesta di perdono alla famiglia. A tutti devono essere assicurate le cure mediche, ma crediamo che le carceri italiane siano attrezzate anche per gestire situazioni di salute gravi. Sapevamo e sappiamo che prima o poi i condannati scontano la loro pena, ma temiamo che segnali come questo possano essere di incoraggiamento per coloro che vorrebbero rigettare il territorio nella paura della camorra. I familiari vivono un danno perpetuo. Continueremo a essere vigili. Il Comitato don Peppe Diana e il coordinamento regionale di Libera sono vicini alla famiglia di don Peppe Diana».
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