Jovanotti e la spiaggia già ripulita: «Castel Volturno merita di più»

Jovanotti e la spiaggia già ripulita: «Castel Volturno merita di più»
Inviato a Castel Volturno «Poteva essere il nostro Vietnam, la nostra campagna di Russia, ma si doveva provare a farlo. E ce l'abbiamo fatta», racconta Jovanotti...

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Inviato a Castel Volturno

«Poteva essere il nostro Vietnam, la nostra campagna di Russia, ma si doveva provare a farlo. E ce l'abbiamo fatta», racconta Jovanotti nel backstage di Castel Volturno. A fine concerto, sudato, stremato, confuso e felice, lo dice anche al popolo del «beach party», il suo popolo, attratto dalle canzoni, ma anche dall'idea di uno show diverso, per una volta tanto davvero diverso: «Questa è una terra difficile ma ce la può fare. Noi, per esempio abbiamo avuto tutti contro, fin dal primo giorno rompevano i coglioni ma ce l'abbiamo fatto. Questa è terra d'accoglienza e ce la devono fare tutti».

 
Sono solo canzonette, gli ricorderebbe Bennato, ma lui lo sa bene. Se bastasse una sola canzone..., gli rammenterebbe Ramazzotti, con cui è andato in tour con e senza quel Pino Daniele a cui ha reso più volte omaggio nella notte dei trentacinquemila, nella terra nera a metà. Quel brano di Eros lo hanno cantato anche in tre, figurati se ne ignora il messaggio, ma... «non ha senso non provarci nemmeno, darsi sempre per sconfitti in partenza. Questo è il mio mestiere, io così posso provare a dire la mia, a dare il mio contributo. Quando ho saputo che c'era l'ipotesi di far passare il tour da Castel Volturno mi sono ostinato a volerlo fare e... ce l'abbiamo fatta. Sembrava un'impresa impossibile, difficilissima, ma, dopo tanti mesi... siamo qui, l'impresa difficile è stata bellissima, quella che è successa è una cosa bellissima», gioisce Lorenzo.

Lo dice anche a Edoardo De Angelis, il regista che ha ambientato ogni suo film in questa «wasted land» potenzialmente bellissima che proprio da queste pagine gli ha dedicato righe di benvenuto, sperando che riuscisse a contagiare la Domitiana con il seme della speranza, il vizio della speranza. «Credo che l'impatto, il segnale ci sia stato, e forse», ragiona a freddo il filmaker, «ora bisogna vedere se attecchirà, chi lo innaffierà e si prenderà cura di lui. In fondo è un problema di volontà, di uomini di buona volontà, tre parole che di sicuro piacerebbero a Lorenzo. Tornando ogni volta da questa parti per girare un film abbiamo dato il nostro contributo, che è insieme lavorativo, economico ma anche culturale e politico. La musica è più potente, ricca, immediata, parla a tutti, senza problemi di ceto sociale e di lingua. Di solito i grandi istrioni dello spettacolo passano da terre simili senza vedere niente, senza lasciare niente. Stavolta non è successo così».


E Lorenzo ha cantato Pino Daniele, certo, amico suo, e fratello di sangue e di neapolitan power di Enzo Avitabile, e «zio» di Rocco Hunt e Clementino, con tutti loro era impossibile non giocare la carta del capolavoro funky «Yes I know my way», forse anche per dire che lui, il Cherubini, lo sapeva che la sua strada doveva passare prima o poi anche da qui, portare qui. Ma, soprattutto, ha cantato Miriam Makeba, ha parlato della strage in cui furono trucidati dalla camorra Kwame Antwi Julius Francis, Affun Yeboa Eric, Christopher Adams del Ghana, El Hadji Ababa e Samuel Kwako del Togo e Jeemes Alex della Liberia. Ha parlato di Castel Volturno all'Italia, ne ha mostrato il dolore, il degrado e anche l'immenso potenziale. Dal palco il mare non sembrava inquinato da Regi Lagni, la luna era bellissima, Ischia pareva a un tiro di schioppo. Ha parlato di Castel Volturno alla stessa Castel Volturno, le ha mostrato come potrebbe essere se si ripulisse, indossasse un vestito buono, tentasse la strada di una vera integrazione, si liberasse della malapianta gomorrista, delle cattive amministrazioni che preferiscono chiudere un occhio, anzi due. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino