Latitanti eccellenti, l'ombra di una soffiata cala sull'inchiesta anti-Casalesi

Una fuga di notizie da ambienti investigativi? È l’ennesima ombra che cala su un’inchiesta che riguarda Michele Zagaria, il boss detenuto al 41 bis dal 2011, dopo quindici...

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Una fuga di notizie da ambienti investigativi? È l’ennesima ombra che cala su un’inchiesta che riguarda Michele Zagaria, il boss detenuto al 41 bis dal 2011, dopo quindici anni di latitanza. È il retroscena dell’inchiesta che ieri ha portato all’emissione di 28 misure di custodia cautelare, un blitz congiunto di carabinieri e polizia al quale sono sfuggiti il sindaco Michele Griffo, gli imprenditori Alessandro Falco e Gaetano Balivo, e l’ex vigile urbano Vincenzo Picone.


Quando gli agenti della Mobile sono arrivati a casa di Falco, a Marano, sul tavolo della cucina c’era un pasto consumato a metà, segno che forse il proprietario del Jambo era scappato pochi minuti prima dell’arrivo della polizia. Un dettaglio inquietante, sul quale la procura ha aperto un fascicolo d’indagine a parte: c’è il sospetto di una fuga di notizie che abbia consentito a Falco, così come a Griffo e agli altri due irreperibili, di darsi alla macchia ed evitare l’arresto.

La Dda di Napoli, ancora una volta, apre un’indagine sulle fasi conclusive di un’operazione che è costata anni di lavoro per i Ros e per la squadra mobile e che, come accaduto nel caso dell’arresto di Michele Zagaria, vede nel suo culmine una evoluzione misteriosa che getta sospetti su esponenti delle forze dell’ordine. Qualcuno, insomma, avrebbe avvisato per tempo Griffo, Falco, Balivo e Picone e li avrebbe fatti fuggire prima dell’arrivo della polizia e dei carabinieri. Qualcuno, il sospetto più grave, che veste la divisa. Come per il caso della pen drive fatta sparire dal bunker di Michele Zagaria all’atto della sua cattura, chiavetta usb che sarebbe stata «venduta» da un poliziotto della squadra mobile di Napoli a un imprenditore vicino al clan per 50mila euro. Un mistero chiarito solo a metà, come quello dei soldi che Zagaria aveva ancora in tasca al momento del suo arrivo nel carcere di massima sicurezza a Parma, 1.400 euro che chi lo perquisì - a più riprese - non vide o non volle vedere. Zagaria e le divise sporche, l’indagine nell’indagine aperta ieri dopo la fuga dei quattro indagati cercherà di fugare i dubbi, gli ennesimi, sulla presunta esistenza di esponenti delle forze dell’ordine border line, disposti a tradire lo Stato e i loro colleghi per compiacere i boss e i suoi uomini.

L’inchiesta è stata aperta ieri, tuttavia nelle carte dell’ordinanza cui Griffo e Falco sono per il momento sfuggiti, viene citato un episodio datato nel tempo, dal quale trapela una certa «conoscenza» da parte del sindaco irreperibile su ipotetiche indagini in corso sul suo conto. Il pentito Francesco Cantone, in un interrogatorio datato 2010, riferiva appunto delle preoccupazioni di Michele Griffo, fattosi improvvisamente guardingo rispetto ai rapporti illeciti che - secondo il collaboratore - intratteneva con lui e con altri imprenditori. «In un’occasione, - faceva mettere a verbale Cantone il 24 settembre del 2010 - Griffo si mostrò titubante nei miei confronti, dicendo che la procura stava facendo indagini nei suoi confronti. Era preoccupato perché aveva saputo che la Dda gli stava addosso, ciononostante io pretesi i quindici milioni di lire che mi doveva».


Chi informò il sindaco all’epoca, viene da chiedersi, sempre che le dichiarazioni di Cantone rispondano al vero, è la stessa persona che lo ha avvisato dell’imminente arresto e che l’altra notte gli ha permesso di scappare prima dell’arrivo della polizia? Sarà l’indagine aperta ieri a confermare o cancellare un dubbio che pesa come un macigno su un’indagine che ha colpito al cuore l’economia dei Casalesi. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino