Zagaria, un piano dei vivandieri per avvelenare il boss latitante

Zagaria, un piano dei vivandieri per avvelenare il boss latitante
C’era un piano per eliminare Michele Zagaria. Ma non era un «classico» agguato. Nelle menti di chi lo ideò, ma non lo portò a compimento, lo...

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C’era un piano per eliminare Michele Zagaria. Ma non era un «classico» agguato. Nelle menti di chi lo ideò, ma non lo portò a compimento, lo stratagemma per far fuori il capo dei capi era molto più sottile di una sventagliata di proiettili, meno plateale di un’esecuzione in stile camorristico. Non a caso, quel piano, lo congegnò una donna. È il 2018 quando le cimici della guardia di finanza che indagano su Giuseppe e Luisa Guarino, quest’ultima moglie di Giacomo Capoluongo, per anni fiancheggiatore della latitanza del capoclan, svela, inavvertitamente, quelli che all’epoca erano i suoi piani. Far morire Michele Zagaria.

Come? Non è chiaro, se non che più volte la donna suggerì al marito di mettere «qualcosa in più» per far andare in pappa il fegato del mammasantissima. Lo odia Zagaria, la Guarino. Lo odia perché aveva promesso che, in cambio dei loro servizi, avrebbe consentito alla famiglia di avere il monopolio sulle farmacie dell’Agro aversano in quegli anni in cui l’intera famiglia Capoluongo era impegnata per nascondere la primula rossa. E quando nel 2018 il boss dà più volte di matto mentre, collegato in videoconferenza, assiste ai processi in cui è imputato, la Guarino è terrorizzata che possa pentirsi e, di conseguenza, svelare i loro remunerativi affari, incluso il sistema delle truffe carosello. Se il nome di Michele Zagaria incute, ai più, timore e terrore, per la gang delle truffe all’erario non è così. «Se si deve pentire, è meglio che muore», la frase intercettata nel 2018 e riportata nell’ordinanza a firma del gip Tommaso Perrella che due giorni fa ha stroncato un esercito di finti imprenditori che riciclavano denaro di dubbia provenienza attraverso il sistema delle frodi carosello. C’è l’ombra della camorra sull’inchiesta della guardia di finanza perché, al centro della vicenda, spicca la figura di Giuseppe Guarino, un passato da estorsore e sgarrista per la costola Cantone dei Casalesi, un presente da «cassiere» per cifre a tanti zeri, da collettore dei pagamenti dell’esercito di teste di legno cui sono intestate le ditte fantasma ma, soprattutto, cognato di Giacomo Capoluongo, fratello di Maurizio, vecchio esponente del clan. Per la Dda, i soldi delle truffe servivano anche a stipendiare le famiglie dei detenuti. Tra questi, la moglie di Capoluongo, Luisa, sorella di Guarino. Ed è proprio lei - finita agli arresti col fratello all’alba di lunedì - a pronunciare la fatidica frase. Ecco il dialogo: «Perché sta collaborando...?, chiede Luisa al fratello, e lui: «No, dice che si voleva suicidare quando si mise la corda alla gola». «Giuseppe, - replica la donna - questa è l’unica paura che tengo. Ho sempre detto... quello deve morire il più presto possibile, tiene un fegato a pezzi, Giacomo... metticelo un poco più... che quello due minuti e schiatta... il fegato e abbiamo risolto il problema. Finché quello non muore io sto con la palpitazione... col mal di stomaco».


Giacomo Capoluongo fu uno dei principali fiancheggiatori della latitanza di Zagaria, insieme a tutta la famiglia; ma, in cambio, il boss doveva aiutare Luisa Zagaria ad aprire una farmacia a Trentola Ducenta. Il capoclan però non mantenne la parola. Si ruppe così l’alleanza tra i Capoluongo e gli Zagaria, di qui l’astio della donna che, evidentemente, non dimenticò mai quello sgarro e, in tempi recentissimi, ovvero nel 2018, ricordò al fratello il suo «piano», mai attuato, di eliminare il mammasantissima.
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Il Mattino