«Mio marito fu ucciso durante una rapina, ma due indagati sono liberi»

«La sentenza di condanna di primo grado parla chiaro: ci sono stati altri complici nel delitto di mio marito e io voglio sapere chi sono»

Lucia Cocoro, vedova di Pasquale Guarino
«Evito di passeggiare in centro nella mia città perché potrei incontrare Roland. Lui, indagato, è libero, mentre mio marito è stato...

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«Evito di passeggiare in centro nella mia città perché potrei incontrare Roland. Lui, indagato, è libero, mentre mio marito è stato ucciso». Non ha più lacrime Lucia Cocoro, la vedova di Pasquale Guarino, l’imprenditore agricolo ucciso a 55 anni il 23 settembre del 2015 nel corso di un tentativo di rapina in contrada Cuparella tra Santa Maria Capua Vetere e San Tammaro. Racconta il dilemma che affronta ogni giorno e come un tarlo scava nella sua testa: «Che fine ha fatto il fascicolo per gli altri indagati accusati di aver avuto un presunto ruolo nella copertura dei complici della rapina a mio marito?», si chiede.

Per l’omicidio di Pasquale Guarino è stato condannato a 23 anni Argit Turshilla, un albanese di 29 anni e la pena è stata confermata (scesa a 22 anni) in corte di Appello a Napoli. La verità è che Pasquale fu tradito dai suoi operai nel 2015, coloro che avevano bussato alla sua porta in cerca di lavoro fuggendo dalla guerra e dalla fame. Ma per la vedova di Pasquale Guarino «giustizia non è ancora fatta», dice Lucia. 

La donna si riferisce, infatti, agli altri presunti complici dei rapinatori. Fra questi, stando alla Procura di Santa Maria Capua Vetere, ci sarebbero Roland Turshilla e Gjenis Datia. Il primo fu scarcerato dal Riesame venti giorni dopo la svolta dell’inchiesta sul delitto e l’arresto di Argit. «Gjenis Datia, invece, si troverebbe a Londra. Almeno è quello che vedo dai social - spiega la vedova - Probabilmente è in Inghilterra, ma dovrebbe stare qui ad aspettare l’esito della decisione della Procura e del gip, se mai il fascicolo fosse arrivato al giudice per le indagini preliminari», continua Lucia Cocoro. Sì, perché dopo il processo con la condanna di Argit, gli atti furono rinviati indietro dai giudici - presidente del collegio Giovanna Napolitano - sia per Roland che per Datia: il pm Giacomo Urbano ha approfondito la loro posizione in questi anni: «Ma poi che fine ha fatto il fascicolo? È stato inviato al gip? E il tribunale cosa ha deciso? Il problema è proprio questo - continua Lucia Cocoro - io, moglie della vittima, non posso neanche sapere a che punto sia l’inchiesta di Santa Maria Capua Vetere. Io vorrei capire solo cosa si aspetta a decidere sulla posizione di queste due persone», continua Lucia Cocoro. Il riferimento è, ovviamente, al cugino dell’imputato condannato, Roland Turshilla e a Gjenis Datja. Su spinta della parte civile rappresentata dall’avvocato Dezio Ferraro, la Corte di Assise trasmise alla Procura della Repubblica gli atti per verificare l’eventuale «commissione di fatti penalmente rilevanti» o una ipotesi di falsa testimonianza. «Che fine ha fatto questa accusa?», si chiede dopo due anni la vedova dell’imprenditore che si è battuta sin dal primo giorno per chiedere che fosse fatta giustizia totale per la morte del marito. Il caso, affidato a suo tempo al sostituto Alessandro Di Vico (oggi in altra sede giudiziaria) è passato poi al collega magistrato Giacomo Urbano. «La sentenza di condanna di primo grado parla chiaro – afferma Lucia Cocoro, amareggiata e ancora addolorata – ci sono stati altri complici nel delitto di mio marito e io voglio sapere chi sono. Dopo due anni dal verdetto mi attendo le risposte concrete in base a ciò che hanno stabilito i giudici. Mi capita di incontrare anche per strada queste persone – prosegue la donna, nel suo comprensibile sfogo – e soltanto io so come mi sento in quelle circostanze». Il cold case resta, dunque, aperto dopo sette anni. 

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Il Mattino