Nando ucciso come un boss, sotto torchio l'uomo del citofono

Nando ucciso come un boss, sotto torchio l'uomo del citofono
Inviato a Mondragone  Ha un nome, un volto, un indirizzo e un curriculum criminale che passa dal contrabbando allo stupro l’uomo che, mercoledì sera, avrebbe...

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Inviato a Mondragone 

Ha un nome, un volto, un indirizzo e un curriculum criminale che passa dal contrabbando allo stupro l’uomo che, mercoledì sera, avrebbe citofonato a casa di Ferdinando Longobardi pochi istanti prima che il ventinovenne rimanesse vittima di un agguato. È un commerciante, residente nella zona dei Palazzi Azzurri, ghetto dimenticato da Dio e dagli uomini di via Palermo a Mondragone, il sospettato numero uno per l’omicidio dell’ex pusher assassinato sotto casa, in via Vittorio Emanuele, due sere fa. Quanto al movente, le fonti di strada cozzano con quanto raccolto finora dai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, diretti dal tenente colonnello Nicola Mirante. 


«Radiovicoli» parla di una lite scatenata da motivi passionali, di una scazzottata nata per una donna contesa, ma la Dda che coordina le indagini dietro l’omicidio ci vede altro. Una storia in cui non cambiano i protagonisti, perlomeno non il sospettato principale, ma ha una trama che va ben oltre il delitto maturato per una ragazza contesa. La droga resta, al momento, in cima all’elenco degli investigatori. Ché, se è vero che Longobardi da quando è uscito di galera ha cercato di rigare dritto, lavorando di mattina in un lido, di pomeriggio in un’officina meccanica, è anche vero che potrebbe aver lasciato in sospeso qualche conto quando lo hanno arrestato, sei anni fa. E, ancora, per quanto ne dicano i suoi amici, forse il cordone che lo legava a piazza Marechiaro, dove pare spacciasse prima che lo prendessero, non l’aveva del tutto reciso. Ma soprattutto ci sono gli affari della famiglia cui il probabile killer appartiene: da sempre sono invischiati nel contrabbando, nello spaccio e perlomeno consapevoli che, i Palazzi Azzurri sono soprattutto un luogo di «scambio» e un nascondiglio per quelli che si occupano dei cavalli di ritorno. La storia della donna contesa è forse vera, ma non è il movente più accreditato. D’altronde lo scenario frastagliato della criminalità di Mondragone non consente di inquadrare le indagini sotto una luce univoca. Non c’è un clan egemone cui chi spaccia deve dare conto, non ci sono personaggi di spicco da «rispettare». Basti pensare che l’ex braccio destro di La Torre, una volta scarcerato, si è fatto pizzicare a scaricare balle di spazzatura in campagna. Un’attività che non confà certo a un ex colonnello della camorra. Una storia che la dice lunga sull’attuale situazione della città domiziana dove da un lato i cani sciolti, dall’altro i gruppi stranieri, fanno un po’ il bello e il cattivo tempo. In questo caos si muovono gli investigatori, che hanno già interrogato diverse persone, incluso il sospettato numero uno. La svolta, a ogni modo, sembra vicina. A meno che non si aprano nuovi e imprevedibili scenari. È certo che Longobardi non temeva di essere ucciso: è uscito di casa in ciabatte, aveva un coltello da cucina. Dopo la scazzottata della mattina, deve aver pensato che la cosa si sarebbe risolta con le mani. Purtroppo il suo rivale, invece, era armato. E ha fatto fuoco. L’indagine, in capo al pool anticamorra coordinato dall’aggiunto Luigi Frunzio, è coordinata dai pm Morra e Ferrigno della Procura di Napoli diretta da Giovanni Melillo.
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Il Mattino