«Noi, gli italiani d’Eritrea senza più diritto alla casa»

AVERSA - La promessa di una casa fu l’unico conforto di un ritorno in Italia per breve tempo «protetto». Presto, il «limbo» dei profughi italiani in...

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AVERSA - La promessa di una casa fu l’unico conforto di un ritorno in Italia per breve tempo «protetto». Presto, il «limbo» dei profughi italiani in arrivo dalla colonia fascista in Etiopia, ma anche dall'Eritrea e dalla Somalia, infranse i sogni dei figli dei combattenti che prestarono giuramento alla patria Italia. E così, oggi, i profughi non hanno ancora una casa, a oltre 70 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.

 
Non possono comprare gli appartamenti in cui hanno vissuto per anni ad Aversa. Alcuni locali sono addirittura occupati dagli abusivi. In tutta Italia gli alloggi dei profughi sono già stati venduti ai discendenti dei soldati italiani. Ad Aversa no. Negli anni ‘70 i figli e i nipoti dei militari sono stati rimpatriati con dei voli aerei atterrati a Napoli. Spediti in Italia, di ritorno dall’Africa, sono finiti nei «campi profughi». Accampamenti nel cuore delle città: a Fuorigrotta come ad Aversa. Solo nel 1982, con pugni puntati sulle scrivanie dei burocrati, hanno ottenuto un tetto sulle loro teste grazie a un permesso a costruire. Oggi non possono riscattare l’abitazione, pur essendo prevista una legge che lo impone. Il «corto circuito» burocratico si è verificato perché gli appartamenti - in tutto sei fabbricati con 54 alloggi in Via Chianca, lungo la via Appia Nord - non sono stati mai accatastati. Per lo Stato non esistono.  Inoltre, la Regione ha imposto il tasso di vendita altissimo, valutandoli fra i 40.000 e gli 80.000 euro. «Non potevano farlo», tuonano Filomena, Liliana  e Vania, le nipoti e le figlie degli ex soldati della campagna nel Corno d’ Africa.
 
«La legge 4 marzo del 1952 stabilisce per i profughi, i loro figli e i nipoti - spiegano - che il prezzo di vendita di ogni alloggio non può superare il 50% del costo di costruzione dell’epoca». Ma è successo l’imprevedibile. La Regione si è accorta che il prezzo di vendita corrispondeva a soli cinquemila euro. Troppo poco. L’iter si è bloccato. 

La Regione ha, intanto, delegato lo Iacp di Caserta ad amministrare gli alloggi. Ma la procedura si è arenata.


«È assurdo. Ci siamo rivolti al Sicet, il sindacato Inquilini Case e Territorio, ma non abbiamo concluso nulla», spiegano le nipoti dei profughi. Così, gli italiani rimpariati sono senza casa perchè lo Stato non permette loro di registrare l'abitazione e di comprarla.  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino