Sedici anni di reclusione: è questa la richiesta del pm Alessandro Milita per l'ex sottosegretario all'Economia, Nicola Cosentino, nell'ambito del processo Eco4...
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Il rappresentante della pubblica accusa nella sua requisitoria, durata oltre sei ore, ha ripercosto le tappe giudiziarie che hanno portato all'attuale processo, ricostruendo l'intera impalcatura accusatoria a carico dell'ex sottosegretario.
Cosentino, ex coordinatore campano del Pdl, è accusato di «concorso esterno in associazione mafiosa» nel processo in corso nel Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
«Nicola Cosentino era legato ai Casalesi da un saldo accordo politico-mafioso che, come si evince dal racconto dei collaboratori di giustizia, risaliva al padre e che permane ancora. È facile fare carriera così, fare i soldi così, ma si finisce in carcere. Spero che la sentenza ponga la parola fine alla storia di Cosentino, e che nessuno a lui collegato lo emuli». Cosi il pm Alessandro Milita tratteggia la figura di Nicola Cosentino durante la requisitoria del processo Eco4. Per il rappresentante dell' accusa sarebbero tante le «falsificazioni» prodotte da Cosentino durante il processo e neanche «le ordinanze e gli arresti hanno interrotto il legame di Cosentino con il clan, e il suo comportamento è sempre stato improntato all'illicetà, come quando nel 2009 ricattò Berlusconi per la candidatura alle Regionali dell'anno successivo, o come quando tra il 2013 o il 2014 è rimasto coinvolto nell'inchiesta sui beni fatti entrare illecitamente nella sua cella del carcere di Secondigliano da un agente corrotto».
Il pm parla di «mole impressionanti di prove» raccolte a carico dell'imputato, e ripercorre in circa sei ore, in questa seconda e ultima udienza dedicata alla requisitoria, la storia di Nicola Cosentino, corredandola dei resoconti dell'attività di indagine, basata in particolare sulle intercettazioni, e sui racconti di numerosi collaboratori di giustizia.
Cosentino, presente in aula, spesso sorride o scuote la testa. Milita parte dal «Consorzio Caserta4», l'ente pubblico che nella prima decade del 2000 si occupava di raccolta rifiuti in 20 comuni del Casertano, attorno al quale ruota il nocciolo del processo. «Cosentino - secondo il pm - era il dominus del Ce4, attraverso il presidente Valente, che come collaboratore di giustizia ha confermato tutto in aula; Cosentino ha fatto assumere nel Ce4, dunque con soldi pubblici, molte persone nei periodi prelettorali, orientando in tal modo l'esito di numerose elezioni, specie quelle dei Comuni facenti parte del bacino del consorzio. Ma ciò che conta è che lui conoscesse bene la 'mafiosità' dei fratelli Michele e Sergio Orsi, ovvero che fosero legati al clan Bidognetti, e ciò anche prima che i due imprenditori si aggiudicassero nel 1999 la gara d'appalto bandita dal Ce4 diventandone poi per anni il braccio operativo». In tale sua veste di presunto «dominus di fatto» del Ce4, Cosentino avrebbe per anni agevolato il clan e creato poi l'Impregeco, società che, spiega Milita, «doveva servire a contrastare la Fibe e a creare nel Casertano un ciclo integrato dei rifiuti a livello provinciale, che prevedeva anche un termovalorizzatore da allocare a Santa Maria la Fossa o Cellole e da realizzare con i soldi della camorra».
«Il fallimento del contratto Fibe, con gli impianti non realizzati e il ricorso continuo alle discariche, ma anche i blocchi di protesta dei cittadini, come quello organizzato alla discarica di Santa Maria la Fossa e di cui Cosentino fu il regista, generò un disastro ambientale in Campania - la cosiddetta fase dell'emergenza rifiuti - di cui Cosentino è uno degli artifici».
A tal proposito, tra i responsabili della fase più critica della Regione a livello ambientale, Milita cita anche l'ex sub-commissario Giulio Facchi e il re dell'ecomafie Cipriano Chianese, entrambi condannati qualche mese fa per il disastro provocato dalla discarica Resit di Giugliano.
Il Mattino