Pur nell'accorta cautela dello studioso, Cesare De Seta accoglie con interesse la scoperta consegnata da Gianni Di Dio alla valutazione degli esperti: la sagoma di Luigi...
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De Seta, ora la silhouette sul torrione apre un ulteriore capitolo?
«Non so se la sagoma su cui l'architetto Gianni Di Dio richiama l'attenzione rimandi al profilo di Vanvitelli ma è un segnale dell'artista. Si dovranno approfondire analisi e ricerche, valutare ad esempio l'esposizione della luce durante le varie stagioni che conferisce tonalità differenti alla visione attraverso la finestra del torrione. Potrebbe racchiudere pure altri segnali. Tiziana Maffei, l'attuale direttrice della reggia, per capacità e competenze rappresenta la persona adatta per poterlo fare. Ma più di quel profilo e dell'eventuale emergere della firma di Luigi Vanvitelli sull'opera da lui realizzata, l'elemento più interessante che risalta dalle indagini di Di Dio è un altro».
Quale?
«È quello relativo alle sue osservazioni sull'inclinazione dell'asse visuale del viale della reggia. Di Dio afferma di aver compreso perché Vanvitelli l'abbia orientato in direzione Nord-Sud, deviandolo di circa tre gradi verso Sud-Ovest in modo da non ostruire la visione della linea di orizzonte proiettata fino a Napoli. Mi pare importante la valutazione degli strumenti adottati per giungere allo scopo: perché è vero quanto sostiene Di Dio e cioè che da quel punto è possibile spaziare nell'infinito e modificando le coordinate lo sguardo si sarebbe infranto contro l'immagine di Capri o lo scenario della penisola sorrentina. Per arrivare a capire il metodo adottato da Luigi Vanvitelli io inviterei a considerare un aspetto fondamentale. Di chi è figlio Luigi Vanvitelli?».
Di Gaspard Van Wittel, pittore olandese che convocato nel 1699 per impegnarsi al cantiere di Palazzo Reale di Napoli dal viceré Luigi Francesco de la Cerda y Aragona duca di Medinaceli stabilì con lui rapporti tanto intensi e proficui da dare al figlio nato dal matrimonio con Anna Lorenzani appunto il nome di Luigi.
«Bene. Luigi Vanvitelli è il figlio del più grande vedutista del 700, di colui che si può dire abbia inventato il vedutismo e che possedeva straordinarie capacità topografiche. L'architettura della reggia deve molto alla lezione che Luigi imparò dal padre, soprattutto nella consapevolezza degli strumenti di misurazione impiegati. Del resto, ne sono chiare testimonianze i disegni e le incisioni di Vanvitelli. Ciò ci aiuta a capire che l'inclinazione dell'asse sia dovuta alla sua intenzione di non impattare contro Capri e Sorrento ma di guardare, secondo il canone vedutista, a Napoli».
Dunque, una scelta studiata per cogliere un obiettivo preciso?
«Certamente. La scelta di Luigi è stata premiata dal risultato ottenuto che fa del parco della Reggia non il più incredibilmente bello d'Italia, bensì di tutti gli altri in Europa: per grandezza, per spettacolarità della forma e per la possanza del talento espresso da Luigi Vanvitelli».
L'addensarsi delle suggestioni che vengono dalla scoperta di Di Dio conferisce alla vicenda un'aura decisamente letteraria: l'architetto che distribuisce indizi nella sua realizzazione, il suo marchio impresso, le chiavi interpretative che si moltiplicano. Lei ha anche un percorso narrativo parallelo a quello di studioso, è autore di cinque romanzi l'ultimo dei quali «L'isola e la Senna» giunto alla seconda edizione. Il caso Vanvitelli l'attrae?
«Che ci si trovi di fronte a una materia dai forti risvolti letterari mi pare indubitabile. Per me, comunque, la scrittura narrativa resta l'opportunità di staccarmi dallo studio scientifico dei documenti, quasi un ambito dove sviluppare attraverso la finzione una licenza altrimenti proibita. Dico questo perché è lontana da me l'intenzione di fare romanzi e racconti con gli argomenti della storia dell'arte e dell'architettura. Ci sono strumenti di intervento troppo diversi e la commistione produrrebbe soltanto confusione. La ricerca, al contrario, ha necessità di verifiche e di certezze». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino